Sostiene l’assessore comunale Edoardo Cosenza che per ovviare al disastro dei treni della Metropolitana serve un mago. Ovviamente è una “voce dal sen fuggita” o, volendo malignare, la scoperta di “Alice nel paese delle meraviglie” dove queste ultime potrebbero anche leggersi come orrori. Continuando lungo tale china potremmo immaginare che ci sia un diavolo che si aggiri tra rotaie, convogli e depositi del metrò o tra le funi e i motori delle funicolari, o anche sui bus costretti a tornare mestamente ai depositi e lì a permanere, o ancora tra giardini, parchi e ville per impedire potature e innaffiamenti e semmai consentire troncamenti mortali di pini e conifere varie, o, via di questo passo, per bendare vigili, ufficiali e comandante in modo da non fargli vedere il tappeto di auto in sosta più che selvaggia che trasforma arterie capienti in vicoletti e vicoletti in arditi passaggi pedonali, o, perdonate questo limitato elenco di magie all’incontrario, in un’area strategica come Bagnoli (si legga l’editoriale di Claudio Scamardella) in un deserto di intenzioni e chiacchiere nascoste sotto la coltre di iniziative giudiziarie, o, per concludere davvero, nella testa dei ricercatori dell’Istat in modo da fargli dipingere (si rimanda ancora a un editoriale, quello di Enzo d’Errico) il nostro territorio come il ricettacolo di tutti i primati negativi.

Certo sarebbe divertente spiegare i fallimenti ricorrendo alla magia e alle diavolerie e verrebbe da consigliare a Vittorio Del Tufo di aggiungere una voluminosa appendice al suo “Napoli magica”, ma, dubitando di maghi e diavoli, voliamo basso e ci atteniamo alla Napoli alla nostra portata, quella vera, bellissima e invivibile allo stesso tempo. Perché questo splendore si coniuga con la difficoltà del vivere la città? Forse perché le due cose si tengono insieme e così facendo la rendono unica? Si sente anche questo ovviamente nel dibattito perenne, specie sui social, che si accende ogni volta che qualcuno, specie di fuori, del Nord s’intende, si permette qualche critica ma anche quando i sussurri negativi vengono dall’interno.

Diciamola tutta: troppo facile prendersela con il decennio demagistrisiano o con il settennato deluchiano, pur dovendo riconoscere che il primo fortunatamente è alle nostre spalle e il secondo è purtroppo in pieno svolgimento. Anzi a proposito di quest’ultimo si minacciano nuove opere faraoniche (vedi progetto della sede della Regione in zona Garibaldi) quando primaria sarebbe l’esigenza di far funzionare quello che c’è e garantire una decorosa manutenzione della città.

La domanda probabilmente più pertinente è: ma esiste una classe dirigente o, più precisamente, questa cosiddetta è all’altezza dei compiti elementari e straordinari richiesti da una città per quanto complicata anche antropologicamente come Napoli? La risposta è implicita e va da sé che il ceto politico è speculare a detta classe dirigente, tant’è che gli insuccessi della prima fanno da contraltare alle regole di improvvisata formazione del secondo.

Infine la domanda delle domande: ma questa classe dirigente in senso lato è migliore o peggiore di chi le assicura la dominante (egemone sarebbe troppo) posizione? Per la risposta non rimandiamo al mago bensì a un indovinato titolo di questo giornale: “Nessuno può dirsi innocente”.

*Editoriale pubblicato il 26 aprile 2022 sul Corriere del Mezzogiorno

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