IN QUELLA FIAT 850 CON PIO LA TORRE
Più di mezzo secolo fa la mia giovinezza era dedicata quasi esclusivamente alla politica. Passione e militanza, impegno e partecipazione, anche tanta – a quell’età è quasi naturale – partigianeria ai limiti della faziosità. Stavo, stavamo, tanti ragazzi e ragazze, da una parte, ci interessavamo della nostra città, dell’Italia, del mondo e anche quello che avveniva dall’altra parte del pianeta ci riguardava. Errori? Una caterva. Ma io non rimpiango nulla anzi ho nostalgia di quel mondo, non solo per l’età che non c’è più, ma anche e soprattutto perché ci sentivamo parte dell’umanità e del mondo. E io e gli altri compagni facevamo di tutto, ci svegliavamo di notte per andare a scrivere sui muri della città slogan sull’ultimo evento che ci aveva scosso, a Pasquetta mentre tutti andavano ai boschi di Quisisana per trascorrere ore liete noi, sempre di notte, disegnavamo con pittura bianca raffazzonata le strade d’accesso con frasi di impegno politico, realizzavamo giornali, organizzavamo convegni e dibattiti, facevamo venire in città il fiorfiore degli intellettuali (Pasolini, Rosi, Zangrandi…), occupavamo spiagge indebitamente privatizzate, facevamo comizi, cortei, volantinaggi, accendevamo confronti e alimentavamo polemiche. Vivevamo la nostra giovinezza in questo modo.
Perché mi è venuto alla mente questa memoria straordinaria, lontanissima, irripetibile, anche a suo modo pesante? Perché mi toccò, ed io me l’accaparrai prepotentemente, anche il compito di andare spesso a Napoli a prelevare dalla stazione o dalla federazione del partito o dall’albergo il compagno autorevole che doveva tenere un comizio a Castellammare e quasi sempre dovevamo fare anche il percorso all’incontrario. Io e Franco Perez, l’unico tra di noi che avesse un’auto, una Fiat 850 di colore celestino, lo consideravamo un privilegio. Franco aveva l’età della patente, io neanche quella. E così viaggiavamo con i dirigenti del partito, discutevamo con loro, respiravamo, mi consenta Gaber, il sentimento dell’appartenenza ai massimi livelli: Luciano Barca, Alfredo Reichlin, Giorgio Napolitano…
Scrivo di questo perché vedo che oggi si ricorda che quarant’anni fa Pio La Torre fu ucciso dalla mafia. Chi sia stato questo grande italiano non devo ricordarlo io. Un martire dell’Italia repubblicana, protagonista di iniziative che hanno segnato la sua storia, a cominciare dal motivo per cui la mafia ne decretò la morte: con le sue leggi furono messe le mani sui patrimoni dei mafiosi dando una svolta alla lotta fino ad allora flebile se non peggio dello Stato al crimine organizzato che funestava la Sicilia (e altre regioni meridionali). Una foto della sua auto crivellata di proiettili ritrae anche magistrati e poliziotti (Chinnici, Falcone, Cassarà) che saranno uccisi da Cosa Nostra.
Ecco, io e Franco andammo a prelevare La Torre all’albergo Mediterraneo a Napoli, lo conducemmo a Castellammare e poi lo riportammo a Napoli dopo il comizio. Non sapevamo quale fosse il reale valore del “nostro” dirigente, sapevamo soprattutto che era un siciliano. “Com’è la situazione a Castellammare?”. Entrò subito in argomento e io, che non aspettavo altro, risposi. Dialogammo da Napoli fin nei pressi del Miramare dove parcheggiammo, ma continuammo sul lungomare che percorremmo fino alla Cassa Armonica, salimmo sul palco e lui dopo che io lo presentai iniziò il comizio. Certo, tanti slogan (dagli oratori pretendevamo anche questo) ma soprattutto ragionamento, concretezza, analisi della realtà, i compiti del partito, l’invito finale a sostenere la causa. Poi facemmo il percorso all’incontrario e finalmente parlò quasi solo lui, che era felice di com’era andato il comizio anche perché Castellammare era considerata a livello nazionale una “piazza” importante. Con Franco, al ritorno, commentammo a lungo quest’esperienza manifestando ambedue la stima e l’ammirazione per un comunista tutto sostanza che avevamo avuto la fortuna di conoscere così da vicino.
Da quel momento seguii per anni con attenzione l’attività di La Torre e ovviamente provai un dolore immenso quando dalla Sicilia arrivò la brutta notizia. Ma ormai avevo anche capito che quella fine per lui era una delle possibilità reali sul suo cammino di riscatto. Un grande siciliano, un grande italiano. E posso dire anche qualcosa di più personale perché in quell’auto ci diede un altro, non secondario, segno del suo valore: la funzione pedagogica della politica che si espresse con quella disponibilità a dialogare con dei ragazzi con rispetto e curiosità. Il mio partito e i miei dirigenti erano anche questo.
* 30 aprile 2022