Napoli è di chi se la prende. Correggo: Napoli è di chi se la prende? Dove il punto interrogativo è speculare alla speranza che non sia così e che la tanto decantata bellezza materiale e immateriale della città non sia un comodo slogan per nascondere la bruttezza altrettanto materiale e immateriale. Troppo facile e scontato evocare a sostegno di questo pensiero la guerra di camorra che imperversa notte e giorno nelle periferie, che poi non è una novità se si ricordano tante guerre del passato che hanno seminato dolori e lutti, salvo poi a prendersela con lo scrittore diventato troppo noto nel mondo per averle raccontate. Napoli non è Gomorra, o, quando il giudizio è più articolato, Napoli non è solo Gomorra, e via con l’elenco degli innumerevoli racconti di segno contrario e la conclusione che se un po’ di Gomorra c’è lo si deve alla responsabilità di chi ne ha scritto e scrive e soprattutto alla corrispondente serie tv che, con immagini cult, ha  diffuso modelli comportamentali negativi. Intanto le stese, e non solo, anche in aree non periferiche davano conto di nuove generazioni di delinquenti che venivano affermandosi spavaldamente. E soprattutto si è un po’ alla volta capito che il contesto urbano era, è diventato, in una sorta di assuefazione, più malleabile e sempre meno ostile alla diffusione di abusi e prepotenze.

La pandemia ha fatto il resto, dovevamo diventare migliori e ci ritroviamo in mezzo ai guai. Per esempio: l’immagine dell’occupazione sfrenata di spazi pubblici per attività private è impressionante. Non più solo quella permanente di posti per parcheggiare in strisce blu assimilate alle bianche (a una certa ora della mattina e a una della sera è facile vedere come tra alcuni residenti e negozianti ci sia lo scambio di posto, praticamente una proprietà privata), ma una vera e propria invasione di tavoli e sedie con strutture che spesso da provvisorie sono diventate definitive. Di questo si poteva fino a qualche mese fa dare la responsabilità al precedente sindaco ma come mai adesso nulla è cambiato e tutto va peggiorando? Al punto che nelle strade più accorsate del civile Vomero si sono sradicate da terra le panchine e si voleva fare lo stesso per quelle rimaste per far spazio a nuovi tavoli e sedie a pagamento: la protesta una volta tanto ha impedito lo scempio e si spera che le panchine divelte dal suolo vengano rimesse al loro posto. Un pedone, specie una mamma con carrozzino, che voglia vivere la città deve attrezzarsi per una corsa a ostacoli tra marciapiedi sconnessi e in via di scomparsa, isole pedonali che si assottigliano inesorabilmente, piazze più anguste e, se malauguratamente deve anche attraversare, scopre che le strisce pedonali sono state cancellate, praticamente abolite.

Ora, mettere insieme la deriva criminale e la miriade di abusi della nostra vita quotidiana può sembrare un’esagerazione, ma il tema è come una grande città, straordinaria per tanti versi, debba essere governata per affermare la legalità, il rispetto e, non sembri un pensiero da benpensante, l’educazione. Certo la camorra non si combatte con le buone maniere ma con armi adeguate, con prevenzione e repressione, lo Stato deve fare la sua parte, poi ovviamente c’è il lavoro indispensabile della società nelle sue varie declinazioni per diffondere la cultura della legalità. Ma è proprio su questo punto che si gioca una partita decisiva che si vince se non viene lasciata alla meritoria iniziativa di volontari che, anche per il deserto che li circonda, rischiano di essere ingessati in una popolarità da star del cinema.

Parliamoci chiaro, ci inalberiamo se qualcuno da fuori si permette di criticare la città, di rappresentarla sottolineando i luoghi comuni più ricorrenti e fastidiosi, anche per il vilipendio di un cibo sacro come la pizza, ma non lo facciamo per la Ferrovia e dintorni che sono una casbah degradata e pericolosa nonostante restyling ambiziosi o per i quartieri della collina e del centro buono dove regnano disordine e disorganizzazione, e ci volgiamo dall’altra parte se tanti nostri concittadini vivono in quartieri dove anche entrare in casa propria è una sfida western alla napoletana o imbiancare le pareti di un alloggio non ti ripara dal fuoco di un camorrista che bussa alla porta o ancora puoi rischiare la vita per un’autobomba che esplode nottetempo davanti al tuo palazzo. Poi naturalmente ci sono il San Carlo, il Cristo Velato, il panorama da sballo, il cinema da Oscar e tutto il bendidio di cui legittimamente siamo orgogliosi. Ma quanta fatica vivere la quotidianità! Una fatica di cui tutti o quasi siamo vittime e carnefici, al punto da non saper più distinguere tra diritti e doveri, se mai ne siamo stati capaci.

*Editoriale pubblicato il 27 luglio 2022 sul Corriere del Mezzogiorno