Si avvicina una data importante, di quelle che segnano la vita di una comunità e delle persone, un prima e un dopo come uno spartiacque tra una storia e un’altra. Il 23 novembre 1980 per noi gente della Campania e della Basilicata è storia ma è anche presente nella vita delle nostre famiglie. Anche la mia colpita tragicamente come ho raccontato in un capitolo del libro dedicato a mio padre, “Il compagno Saul”. Crollò quasi tutto in quel palazzo di via Catello Fusco a Castellammare mentre lui, mia madre e mia sorella cercavano riparo da qualche parte: dal momento che in quegli attimi infernali fu lui ad avere la lucidità di capire che cosa fosse meglio fare, lo trovarono sotto l’arco della porta perché quello sarebbe stato l’ultimo muro a finire in frantumi. L’arco resse ma lui no e dopo poche settimane se ne andò per sempre.
La mia vicenda e quelle di moltitudini di altre persone e famiglie sono patrimonio incancellabile della nostra memoria. E ha fatto bene il “Mattino” a iniziare per tempo a rispettarla con il viaggio a ritroso nel tempo e nei luoghi e, immagino con l’occhio rivolto ai cambiamenti intervenuti e all’eredità che quell’evento ci ha lasciati. Con un’attenzione anche a ciò che abbiamo fatto per rimarginare le ferite e creare le condizioni per affrontare con la prevenzione necessaria il loro replicarsi, ciò che ovviamente nessuno si augura ma che è nelle cose, nella vitalità del pianeta sul quale poggiamo i piedi.
Il giornale che allora stava in via Chiatamone scrisse una pagina storica di giornalismo, merito indiscutibile del direttore Roberto Ciuni che riuscì a mobilitare l’intera redazione come mai si era visto in quel palazzo. Noi da “Paese Sera”, giornale nazionale con un’edizione campana, facemmo la nostra parte. E per tutti i giornalisti, di qualsiasi testata, fu un cambio di passo che dimostrò il valore insostituibile dell’informazione. In seguito riuscimmo anche a svolgere un ruolo di primo piano. Una mattina di pochi mesi dopo Ciuni imbufalito aprì la riunione di redazione sventolando il nostro e il suo giornale e gridando: ma noi dove stiamo, prendiamo queste legnate da un giornale che ha meno della metà dei redattori di un nostro settore. Lo ricordo non per rivendicare meriti particolari ma perché si era già dentro le vicende complicate del dopo-terremoto.
I gruppi terroristici erano attivamente impegnati nello sfruttare il disagio e con il sequestro Cirillo alzarono il tiro. Vicenda dai mille risvolti, tanti rimasti oscuri almeno dal punto di vista giudiziario, ma fu chiaro il tentativo di sfruttare la grande partita della ricostruzione a fini eversivi: la casa e il lavoro, ma nella prima fase più la prima, alimentarono una strategia della tensione molto insidiosa. Noi di “Paese Sera” decidemmo di rischiare e lanciammo segnali non già, naturalmente ai terroristi, ma a quell’area politica e sociale nella quale si muovevano con relativa tranquillità. La deportazione degli sloggiati verso le periferie, mentre ancora si puntellavano i palazzi del centro storico, era uno degli argomenti più caldi. Da quel mondo semisotteraneo arrivarono interventi che coraggiosamente e non senza preoccupazioni pubblicammo e finimmo al centro dell’attenzione, anche degli inquirenti che cercavano invano il covo dove era tenuto prigioniero l’assessore regionale democristiano. Alla fine il nostro lavoro fu utile e per questo il direttore del “Mattino” si arrabbiò perché non voleva stare un passo indietro.
Furono anni difficili, questa è la verità, dove scesero in campo le forze più disparate. Dei terroristi abbiamo detto, ma ormai era evidente che la camorra aveva scommesso sulla ricostruzione, sul grande affare che si apriva per i loro patrimoni. Allo stesso tempo si mossero istituzioni e partiti predisponendo piani e programmi. Bisognava ricostruire strade e quartieri delle grandi città, mentre i piccoli paese dell’interno, rasi al suo in quella manciata di secondi in cui tremò tutto, andavano reinventati. Com’è andata si sa. Tante buone cose ci sono state, migliaia di persone, per quanto sradicate dalle loro dimore, hanno avuto una casa, ma tanto spazio e potere hanno avuto la cattiva politica e, soprattutto, la camorra che in molte realtà non è più rimasta fuori dalle stanze in cui si prendevano le decisioni ma è entrata e spesso si è seduta in poltrona.
Quaranta anni dopo si possono fare dei bilanci accurati ed è bene accingersi per tempo a questo scopo. Anche perché tra prima e dopo quella data c’è stata una frattura non solo della terra ma anche della nostra storia, e molte cose, la politica per prima, non sono state più le stesse. Tanto da chiedersi, visto che sembrerebbe che il dopo-terremoto non sia mai finito, se abbiamo la serenità e la distanza giusta per ricostruire la storia. Specie in tempi in cui, per questo o per quel motivo, ognuno tende a piegarla ai propri gusti e interessi. Ne riparleremo.

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