È di una banalità sconcertante la deriva delinquenziale, soprattutto giovanile, che attraversa da un capo all’altro Napoli e spesso, anche con più virulenza, ampie aree della sua provincia. Banalità, sia chiaro, non per gli effetti che sono gravi e inquietanti bensì per le cause, che per tappe sono state analizzate e approfondite. Ora è colpa dello Stato troppo assente o distratto, ora della scuola che limita prevalentemente al suo spazio fisico e temporale la funzione educativa, ora della famiglia distratta o troppo permissiva, ora naturalmente dei media di vario genere che diffondono modelli suggestivi, non solo quelli di Gomorra, tali da alimentare una devastante emulazione. Poi ovviamente c’è il lavoro che manca e che fa da sfondo al malessere di generazioni di ieri e di oggi, ma bisogna mettere nel conto anche la lezioncina di chi obietta che un lavoro retribuito in maniera non sempre dignitosa non sarebbe preferibile non dico al reddito di cittadinanza ma ai guadagni facili delle occupazioni illegali che per di più, a parte i rischi di finire in carcere o al cimitero, garantiscono il “rispetto”. Sia come sia, sui rimedi, sul che fare il dibattito, per quanto ripetitivo, si ripropone con una banalità, ripeto, avvilente.

Il sindaco Manfredi avverte che non intende militarizzare la città. Gli diamo torto? No, perché la città-caserma sarebbe la sconfitta della società, della politica, delle istituzioni, dei cittadini. Dopo di che torna la domanda: che si fa? Azioni sociali, promozioni positive, mobilitazione di parrocchie e centri di aggregazione, iniziative nelle scuole e quanto è possibile escogitare di buono? Certo, l’azione dal basso è indispensabile, ma non basta. Intanto perché questa è una strada lunga e prima che sortisca risultati tangibili e generali ce ne vuole e non è neanche scontato che tutti siano intenzionati a percorrerla. Ma intanto persiste, sempre più granitico, lo scoglio dell’illegalità diffusa a tutti i livelli, dai piccoli gesti di egoismo o strafottenza alle grandi prepotenze. Soffermiamoci su uno dei tanti modelli comportamentali acclarati e accettati ormai supinamente da tutti o quasi. Non parliamo ovviamente di coltelli, acidi e pistole ma di un elementare fattore di convivenza civile: il rispetto delle regole, per esempio del codice della strada da parte dell’esercito crescente (per necessità visto il disordine e la conseguente immobilità della mobilità urbana): i mezzi su due ruote.

Si fa più presto a contare i “centauri” corretti, basterebbero le dita di una mano. Chiunque vive a Napoli sa di che parlo. Sbucano dappertutto perfino con arroganza, spesso con una mano sullo sterzo e un’altra all’orecchio con annesso telefonino, da soli o in compagnia, anche bambini, apparentemente indifferenti alla sicurezza perché sicuri che gli altri (automobilisti e pedoni) devono pensare non solo alla propria ma anche alla loro. Naturalmente i divieti di accesso o i sensi contrari per loro non sono neanche raccomandazioni ma amenità di buontemponi. E non fanno differenza tra strade e marciapiedi tanto per loro sono la stessa cosa sia per transitare sia per parcheggiare. Delle strisce pedonali se ne fregano e chi attraversa (a proposito, in un mondo rovesciato a Napoli i pedoni ringraziano gli automobilisti che li lasciano transitare) pensa di avercela fatta avendo superato l’auto quando si si vede sbucare uno scooter davanti ai piedi. Un viaggiatore del Grand Tour che ritornasse oggi dalle nostre parti ne scriverebbe come in tempi lontani fece sugli scugnizzi a piedi scalzi.

Tutto questo, si sa, non è folclore ma la constatazione che un fattore di semplificazione degli spostamenti in una città così congestionata si è trasformato in un elemento di ulteriore aggravamento del disordine generale (ovviamente meno per i protagonisti). Credo che lo stesso malcapitato “viaggiatore” non mancherebbe di notare che nessun uomo in divisa (sempre che se ne veda qualcuno in giro) agisca, anche quando si ritrovi di fronte a uno scooterista in una strada a senso unico, per ricordargli, non dico punire, che sta commettendo così platealmente un’infrazione davanti a lui. Di sicuro Manfredi non si riferisce a questo quando parla di militarizzazione, perché vada pure che non si debba far intervenire l’esercito ma almeno qualche vigile urbano sì.

Questa “banale” descrizione di vita quotidiana consente di sottolineare da un altro versante un motivo della deriva di cui si diceva all’inizio. La domanda: ma qualcuno ha ricordato a questi innocenti e costanti trasgressori delle regole che ci sono le regole? E prima ancora di chiederlo a scuola, società e Stato bisognerebbe parlarne con le famiglie, in primis i genitori. A quali valori hanno educato i loro figli? Il rispetto delle leggi e prima di tutto degli altri, che è la condizione decisiva per una convivenza civile tale da non ledere gli interessi di nessuno, ha fatto parte del bagaglio educativo fatto di consigli e di esempi? O talvolta hanno dato anche loro il cattivo esempio?

Naturalmente qui non si intende criminalizzare il più “innocente” dei trasgressori in servizio permanente effettivo e dargli la colpa dei mali della città, ma solo ricordare come tutto si tenga dal momento che quando i freni spariscono anche chi ne sia provvisto può finire con l’ignorarli per semplice bisogno di sopravvivenza. Insomma, uno strappo oggi, uno domani e via via il salto è compiuto.

Che fare, dunque? Tante, troppe cose. Ma in tutte le direzioni perché i guasti di questa città, che non è ingovernabile per fattori naturali, sono troppi, hanno cause maturate in tempi lunghi e sono note e studiate. Non vorrei caricare sulle spalle, non so quanto robuste, del sindaco Manfredi compiti così gravosi ma credo che in una scala di responsabilità a lui spetti il compito di sollecitare un “rinascimento” prima di tutto morale e poi fattivo dei soggetti fondamentali del governo reale di una città così complicata: Stato, scuola, famiglia, giovani, cittadini, associazioni, parrocchie. Una volta, di tanto in tanto, c’era la Politica, certo con limiti ed errori, ma capace di parlare ed essere ascoltata. Ora bisogna far leva su quello che passa il convento. Senza militarizzare ma anche senza compiacenze e dimenticanze (famiglie) che alla lunga diventano complicità.

*Editoriale pubblicato il 4 giugno 2022 sul Corriere del Mezzogiorno