di PIETRO GARGANO

Un bravo giornalista deve essere una brava persona, onesta, capace di raccontare pure i fatti che si intonano alle proprie idee. Non è un ragionamento da critico ma è il primo pensiero dopo aver letto l’ultimo libro di Matteo Cosenza, “Padre Pio, il vero miracolo” (Rogiosi, pagine 112, euro 12,50). Il secondo pensiero è stato: ”Il Mattino” ha avuto e ha campioni del mestiere, avrebbe dovuto, e deve, far sentire la sua voce in tutto il Paese.

La storia cominciò quando il direttore Paolo Graldi ordinò a Matteo di fare un’inchiesta su Padre Pio, pur sapendo che egli non credeva in Dio e men che mai nei miracoli o nelle stimmate. Matteo andò, per disciplina ma pure per curiosità: voleva cercare, capire e raccontare i motivi della devozione corale per quel piccolo frate. Ora ha ritrovato gli appunti di quel viaggio e li ha ordinati in volume. Soprattutto ha risentito lo stupore. Ne spiega i quattro aspetti: la fede della gente umile, dei fragili; la sofferenza che diventava gemito; le folle che correvano alla tomba del padre e l’arte che ne ha raccolto il fascino in strutture ardite, come la basilica ideata da Renzo Piano.

Le pagine sono il frutto di un amore laico e della convinzione orgogliosa che un’inchiesta giornalistica può aiutare a svelare i misteri, perfino quella fede di popolo, battezzata con il nome di “vento”. Talora diventato uragano. Certo, c’è l’industria del sacro, a volte pacchiana. Certo, ci sono i tanti cantieri delle nuove case. Certo, ci sono alberghi e alberghetti. E finte rose blu, statuine, santini. L’urbanistica del paese ne è sconvolta, come il buon gusto. Ma è il prezzo da pagare, per onorare il santo, e per uscire dalle arretratezze del passato. In compenso ci sono un ospedale all’avanguardia, una Casa per ragazze madri, cento altre strutture di solidarietà.

Il volume è onorato dai contributi di Giancarlo Bregantini, arcivescovo di Campobasso, e di Vittorio Del Tufo, autorevole firma del nostro giornale. Aiutano a capire. Matteo spiega i suoi dubbi: «Se chiudi gli occhi senti che in cinquantamila formano un cuore solo. Esagerato? Tutto qui è esagerato. Ma o ci sei dentro con la fede o guardi da fuori e non capisci, o ti fermi sulla soglia con un piede di qua e uno di là per prendere cognizione prima ancora che comprendere».

Non mancano le tappe a Pietrelcina, con spunti originali. Ad esempio le nozze di Maria Teresa Iadanza di Pietrelcina con Matteo Manciacotti di San Giovanni Rotondo, un ponte tra i due luoghi del Frate. Ad esempio il prodigio delle campane che suonano da sole, narrato a voce bassa: «Qui l’incontro con i miracoli è quanto di più facile possa accadere. Se non li cerchi, sono loro a inseguirti».

Anche chi scrive, in un’altra epoca, andò da Padre Pio. Il guardiano del convento mi portò davanti a una statua del Frate: «In chiesa mancava un simulacro di Sant’Antonio e lo ordinammo. Aprimmo la cassa e fu uno schianto: era Padre Pio, non il santo di Padova. Avemmo quasi paura, così la cassa fu portata negli scantinati. La mettemmo qui dopo la morte del Frate. Ma non lo scrivere, tra i devoti ci sono dei fanatici, romperebbero la statua per ricavarne reliquie». La storia era bella e la pubblicai. Poco dopo mi ruppi una gamba in un incidente d’auto e mi convinsi, da superstizioso, ch’ero stato punito da Padre Pio.

Un anno dopo ero ancora a letto, la gamba non si muoveva di un millimetro. Una notte fui svegliato da un profumo di viola, quello dei miracoli. La coperta si muoveva, era il mio piede. Scoppiai a piangere, chiamai mia moglie. Mi aspettavo di rialzarmi come Lazzaro. Non fu così, ma mi rimisi in piedi. Lo racconto non per protagonismo, ma perché ho promesso di farlo, da testimone laico, ogni volta che ce n’è occasione.

La conclusione a Matteo, com’è giusto. Anche perché è un lieto fine, quasi un prodigio. Ogni giorno veniva al Chiatamone don Enzo Calabrese, navigato prete. Rastrellava giornali e tentava di rastrellare anime. Matteo lo sfrucoliava per la mania di profumarsi. Una volta gli parlò delle nozze civili e gli disse di aver intuito il desiderio della moglie Anna di sposarsi in chiesa. Don Ezio fece tutto da solo. Un giorno Matteo, Anna, le figlie e la madre andarono insieme nella grande chiesa di via Santacroce. Venticinque anni dopo il matrimonio civile, Matteo disse un’altra volta sì.

  • Articolo pubblicato il 2 dicembre 2020 su “Il Mattino”