di ROMANO PITARO
“Casomai avessi dimenticato” e le parole segnate (e non dette) a margine delle pagine…
Avrei dovuto presentare il bel volume di Matteo Cosenza (“Casomai avessi dimenticato”- Rogiosi editore) a Vibo Valentia, ma il malefico virus s’è opposto. L’ho letto a Sellia Marina, dove c’è il mio mare e dove, in estate, l’ex direttore del “Quotidiano della Calabria”, giornalista di lungo corso ed oggi editorialista del “Corriere del Mezzogiorno”, s’immerge nello Ionio e fa base per i suoi spostamenti multidisciplinari.
In attesa dell’incontro mancato, avevo depositato il libro in un angolo della scrivania da cui il faccione barbuto di Matteo, in copertina tratteggiato con acume dalla caricatura di Riccardo Marasi, mi ha scrutato per tutto questo tempo.
Oggi ho spostato nella libreria (costretto dai fastidiosi limiti di spazio) il viaggio autobiografico in 200 pagine che, per 16 euro, consente al lettore un tour appassionato nelle tante vite in cui Matteo s’è imbattuto (alla rinfusa: Berlinguer, Napolitano, De Martino, Mancini, Gava, Pasolini, Nonno, Bassolino, Zangrandi, Siani e tantissimi altri) in oltre mezzo secolo di inquietudini politiche e giornalistiche.
Prima di accomiatarmi dal libro, però, voglio riportare qui, per rendere meno infelice il distacco, le parole e qualche appunto che, a margine delle pagine, avevo segnato per introdurre il dibattito:
– Memoria, Identità e Mondo digitale;
– Carte (il libro di carta origina dalle carte raccolte, accumulate e infine selezionate, nel corso di una vita d’impegno mai distratto né subito);
– Le carte di Matteo Cosenza e le “Carte di Famiglia” (www.archividifamiglia.it) del pedagogista Nicola Siciliani de Cumis (esperto del filosofo marxista Labriola ed appassionato di Makarenko, il fondatore della pedagogia sovietica) che da quattro decenni circa coltiva uno sterminato Archivio-Laboratorio con l’occhio dell’emerografo, dello storico e dell’educatore. Il suo è un Archivio-Laboratorio sui generis, che tiene insieme “e risolve ad un livello più alto i materiali che lo impreziosiscono (dalle lettere inedite di Calvino alle centinaia di tesi universitarie alle “terze pagine” dei quotidiani e periodici), per svolgere un’attività di documentazione e di formazione;
– La ragione per cui è importante (oltre al libro naturalmente) il quotidiano o l’informazione periodica scritta nel tempo di Internet. Una mia domanda e la risposta di Siciliani de Cumis:
D: C’è un’oggettiva crisi della stampa cartacea. Si registrano crolli di lettura. Non pensa che col finire del Novecento, si è eclissando anche un certo modo di fare informazione e che dobbiamo ‘rassegnarci’ al linguaggio della Rete?
R. La crisi della carta stampata, le percentuali dei crolli della lettura e degli incassi, sia pubblicitari sia di vendite, sono il frutto di una crisi, più ampia e pervasiva, della cultura italiana nel suo complesso. Non è che, con il Novecento sia finito un modo di fare informazione: è che, in questi ultimi venti anni, è cominciata una nuova era, che dispone di strumenti di eccezionale portata comunicativa, ma è estremamente incerta sugli scopi della comunicazione. La crisi che viviamo sulla nostra pelle, chi fa il giornale e chi lo legge, è di tipo soprattutto culturale e ideale, e poi anche di natura economico-strutturale e, dunque, ideologico-sovrastrutturale. Se il linguaggio sincopato e rapido della Rete prende corpo, ciò avviene in quanto sono le ragioni stesse del dire e del cosa dire a non riconoscersi nelle ragioni necessarie e nei motivi sufficienti per aprire bocca. Se le dimensioni del parlarsi superficialmente e in tutta fretta, sembrano avere preso il sopravvento, con la conseguenza dell’imbarbarimento della lingua, della frantumazione e dello sgangheramento delle parole e, prima, dei concetti, ciò sembra soprattutto dipendere da uno svuotamento del pensiero e da una immenso vuoto di valori. Tutto un mondo di certezze è crollato. Nessun altro mondo di nuove ipotesi si è ancora affacciato all’orizzonte. Il problema è, però, che questo inedito mondo bisogna ancora scriverlo;
– Padre (il padre di Matteo , Saul, è stato una figura carismatica del Pci di Castellammare e del napoletano): Mosè – Freud – Kafka – “Il gesto di Ettore” di Luigi Zoja;
– La fabbrica, il Partito, la modernità e l’interregno in cui siamo precipitati;
– Gramsci e la crisi d’autorità: “Se la classe dominante ha perduto il consenso, cioè non è più «dirigente», ma unicamente «dominante», detentrice della pura forza coercitiva, ciò appunto significa che le grandi masse si sono staccate dalle ideologie tradizionali, non credono più a ciò in cui prima credevano ecc. La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati”;
– Il dissolvimento delle Istituzioni e l’azione delle lobby collegate alle grandi corporation che “governano” i processi economici globali;
– Le zone morte (o moribonde) infiltrate dai populismi;
– La Calabria “zattera irrecuperabile staccata dall’Italia ma anche dalla Sicilia e dalla Campania?”;
– “Dare gas alla Calabria migliore”: la manifestazione antimafia a Reggio Calabria nel 2010 organizzata dal Quotidiano diretto da Matteo Cosenza.
Nota
Grazie, Romano Pitaro, per questi appunti del tuo intervento alla presentazione che non c’è stata. Ci saremmo visti con Peppino Lavorato, leggendaria figura di comunista, uomo integerrimo e stimato a tutte le latitudini, con Vito Teti, figura di primo piano della cultura calabrese, con Michele Albanese, collega valoroso inviso alla ‘ndrangheta che lo fa vivere sotto scorta da cinque anni, e con Bruno Gemelli, giornalista e scrittore. Ci tenevo molto a questa presentazione di Vibo Valentia, purtroppo… E ora che leggo queste note di Romano, mentre sono felice per averle lui rese pubbliche, penso a come sarebbero risultate in un ragionamento che avrebbe legato tutti i punti e mi dispiace molto che non sia stato possibile sentirlo.
Matteo Cosenza