Non gioisco per l’esclusione di Castellammare dalla corsa per diventare capitale della cultura per il 2022. E non nascondo neanche la gioia per Procida, isola sempre presente a casa mia nella più bella foto che io abbia fatto in vita mia: le mie figlie piccolissime che, sedute sugli scalini della rampa in pietra di una casa tipica di Solchiaro, danno con le loro manine il granone a una gallina. Ma Castellammare è la mia città e, per quanto ne possa stare lontano, la sento tale in ogni istante. Per questo affetto viscerale avevo dato il mio nome al comitato di onore per la candidatura, e, pur non avendo partecipato ai suoi lavori anche perché non so se ce ne siano stati, dico che mi dispiace. Mi dispiace per gli stabiesi, non so se pochi o molti, che avevano nutrito la speranza di una svolta virtuosa. Evidentemente ci vuole ben altro.

Lo sapevo anche nel 2013 quando, sollecitato a dare una mano, mi candidai a sindaco. Ero ben consapevole che c’era poco spazio per un programma, se posso dire, “romantico”, visto il radicamento di gruppi e interessi che avevano tarpato le ali allac ittà. Lo capii un pomeriggio nello studio di un vecchio amico di gioventù quando brutalmente mi chiese che intenzioni avessi sulle aree di corso Alcide De Gasperi e se mi fossi incontrato con tizio o sempronio. Capito che non avrei incontrato quelle persone mi disse: “Allora tu non sarai eletto neanche consigliere comunale”. E così fu.  Tramontata la stagione delle Partecipazioni Statali e, quindi, delle industrie e anche delle Terme, la città ha tentato nuovi percorsi a fasi alterne ma mai facendo fino in fondo i conti con la mutazione sociale e culturale che stava avvenendo. Prendete la storia del Centro Antico. Ogni città, basta guardarsi in giro, quando entra in crisi riparte dal suo “cuore” per immaginare e perseguire una prospettiva nuova. L’immagine di Castellammare è congelata nell’abbandono degradato del suo patrimonio identitario che si racchiude nello spazio che va dal Cantiere e dalle Antiche Terme alla piazza del Municipio. Per il quale non si spendono neanche più le parole. Mentre tutto il resto, fatti salvi interventi sul lungomare e gemme preziose come il neonato Museo d’Orsi a Palazzo Reale, è un contenitore di strade insufficienti e palazzi raramente belli, mentre sulle aree industriali dismesse si concentrano mire più che discutibili. Quanto poi alla sicurezza generale le cronache parlano da sole.

Era, dunque, velleitaria la candidatura a capitale della cultura 2022? Di sicuro era un tentativo di coprire e non guarire le piaghe. Qualcuno lo avrà fatto strumentalmente ma penso anche che altri promotori siano stati in perfetta buona fede. Ma Castellammare ha bisogno di un’idea, di un progetto, di una visione di futuro. Che allo stato non ci sono. La nostalgia del tempo che fu, della sua straordinaria storia politica, economica e culturale è ormai materia esattamente di storia. Ne abbiamo scritto su queste colonne ampiamente provocando anche una vivace e interessante discussione. Pur tuttavia del passato non si può non tener conto, ma non per restarne prigionieri. Il presente è la città come si presenta dopo decenni tormentati da trasformazioni economiche e da eventi traumatici come il terremoto del 1980. E pur tuttavia un’idea per il futuro non può prescindere da tutto questo. Da qualche punto occorre ripartire. Per esempio, che si fa di quel Centro Antico?

Articolo pubblicato il 17 novembre 2020