Nelle foto ha quasi sempre uno sguardo serio, ai limiti della durezza. In effetti il suo modo di agire, fermo e severo, non è lontano da quest’immagine. Pur tuttavia, tra le righe di una conversazione a tutto campo su cose importanti, a tratti anche drammatiche, predomina sul suo volto un sorriso dolcissimo. Angela Napoli è un bastian contrario per antonomasia, parla per lei la sua sterminata e scomoda attività parlamentare, migliaia di interventi, interpellanze, interrogazioni, proposte. Dal Movimento Sociale Italiano ad An, una donna di destra senza titubanze e con due costanti: il rispetto della legge e un amore sconfinato per la Calabria. E dire che è nata altrove.

Dove?

«A Varallo Sesia in provincia di Vercelli. Sono figlia di papà calabrese, Vincenzo, e di mamma parigina, Clotilde, nata e vissuta in Francia fino all’età di diciotto anni,  poi rientrata in Piemonte con i genitori che erano piemontesi. Papà ha fatto il servizio militare in provincia di Vercelli e lì si è fermato. Ambedue erano insegnanti elementari, si sono conosciuti e si sono sposati. Siamo nati a Varallo Sesia i primi due figli, io e mio fratello. Poi tutta la famiglia è scesa in Calabria perché c’era il nonno paterno che aveva desiderio di avere un figlio vicino e mamma si sacrificò: io avevo quattro anni e mezzo per cui tutto è stato abbastanza semplice, ma per lei vissuta in ambienti ben diversi arrivare nella piccola realtà territoriale di San Giorgio Morgeto è stato abbastanza drammatico». 

Da Parigi alla Calabria fu davvero un bel salto.

«La mamma è stata una donna eccezionale. Papà ha fatto per molti anni il sindaco di San Giorgio Morgeto e da lì si è avviata anche la mia passione politica».

A questo verremo dopo. Lei è figlia di insegnanti ed è insegnante. Si è laureata in matematica, come mai?

«La matematica mi è sempre piaciuta. Ho preso l’abilitazione in matematica e fisica».

Cosa le piace della matematica?

«Tutto, l’analisi in particolare».

La precisione?

«Infatti,  sono una persona abbastanza schematica. Per esempio, se faccio politica penso che non si debbano fare discorsi senza poi concludere. Credo che questo sia frutto di quella formazione. Nei tre anni precedenti alla mia prima legislatura parlamentare ho fatto anche la dirigente scolastica. Ho insegnato matematica al liceo scientifico, sono stata preside un anno al Professionale per il Commercio di Polistena, un altro alla scuola media di Oppido Mamertina e uno al Magistrale di Palmi».

Professoressa e preside, quale delle due esperienze ricorda di più?

«Le ho fatte tutte e due con soddisfazione perché anche da dirigente non mi sono mai allontanata dal rapporto con gli studenti e con i docenti. Ho puntato molto sia sulla didattica che, secondo me, in altri tempi veniva professata in maniera molto più seria di oggi, sia anche sul ruolo educativo che l’istituzione scolastica dovrebbe avere. Ero molto legata ai giovani e cercavo di intervenire sulla loro crescita e sui valori morali. Ero abbastanza rigida, forse un po’ troppo, ero capace quando si prospettava qualche sciopero di andare a recuperare anche nei bar tutti gli alunni e portarli in classe».

La contestavano?

«Non mi hanno mai contestato, perché allora c’era un altro rispetto da parte dei giovani verso la classe docente. Lo dico sulla base dei miei trentatrè anni di insegnamento. Allora c’era la distinzione dei ruoli. Adesso purtroppo la scuola è molto cambiata, a mio avviso, in negativo soprattutto sotto l’aspetto educativo». 

Colpa dei docenti?

«Un po’ sì, perché i docenti degli anni passati si accingevano alla professione anche con uno spirito di volontariato e non come ad un normale lavoro».

La demotivazione non deriva anche dall’esiguo trattamento economico?

«Certamente. In questo senso nei primi anni della mia attività parlamentare avevo promosso una proposta di legge per il riconoscimento giuridico dei docenti, in questa ultima legislatura eravamo ad un passo dall’approvarla ma lo ha impedito l’opposizione delle organizzazioni sindacali della scuola. Ripresenterò la proposta».

Suo padre, sindaco di San Giorgio Morgeto, era di destra. Lei ha preso da lui?

«La mia scelta di destra è nata anche da questo perché papà e mamma hanno vissuto in Piemonte la Guerra di Liberazione, e lì la lotta tra partigiani e fascisti è stata molto, molto sentita». 

Suo padre era fascista?

«Sì. Anche mia mamma, che una mattina fu prelevata per essere portata alla fucilazione dai partigiani e fu salvata dal plotone di esecuzione proprio da papà. Allora non erano ancora fidanzati. Papà, che la incontrò mentre la conducevano al luogo della fucilazione, disse al capo del plotone che conosceva: ma dove la state portando, è la mia fidanzata».

Spieghi meglio. Perché avevano preso sua madre?

«Lei si trovava in un piccolo paesino, non Varallo ma Rimella, a ridosso della Svizzera tedesca, dove la guerra era spietata, cruenta. Come insegnante elementare era ancor più impegnata politicamente di papà, che era più pacifico, lei invece aveva il suo ruolo, portava la divisa. Papà riuscì a salvarla anche perché avendo un buon rapporto col segretario comunale, riuscì a promettere dei pacchi di farina ai partigiani. Di qui la riconoscenza e la decisione di non fucilarla. Il sistema nervoso di mamma ne è rimasto segnato per tutta la vita». 

Dunque, si sono conosciuti in quel momento?

«No, si conoscevano ma non erano ancora fidanzati. Da lì è nata la loro storia. E da questa storia sono venuta io. Ma questo non vuol dire che mi sia stata imposta la scelta politica: ho un fratello e una sorella nata in Calabria, ma mio fratello è di idee di sinistra. Quindi, non c’è stato alcun discorso vincolante da parte di mamma e di papà, che però sono stati molto contenti della mia scelta».

Come giudica quel periodo?

«Quando c’è la guerra civile non è mai una bella cosa. Però c’era un credo da una parte e dell’altra».

Lei non condanna né gli uni né gli altri?

«No, assolutamente. Perché chi aveva fatto delle scelte le aveva fatte perché ci credeva realmente, però poi quelle scelte così divaricate portarono ai drammi che in quelle zone sono stati vissuti in maniera tragica. Qui nel Sud no». 

Che insegnamento trae oggi da quella divisione cruenta?

«Fare di tutto per non arrivare mai più a situazioni del genere. Per questo non mi scandalizzo se, pur mantenendo la propria ideologia e la propria identità politica, si trovino soluzioni trasversali pur di evitare lacerazioni di quel tipo».

L’Italia può dirsi vaccinata?

«Sì. Certamente non vedo neppure in lontananza un rischio di quel genere, non sottovaluto però nemmeno la possibilità che tirando troppo la corda da una parte o dall’altra poi questa si possa spezzare».

Quando inizia il suo impegno politico?

«Da ragazza. Impegnata in politica vera e propria dopo il matrimonio quando sono arrivata qui a Taurianova dopo aver conosciuto mio marito, Manlio Abramo, all’università di Messina: lui si è laureato in economia e commercio. A Taurianova c’è stata un’iniziale pressione dei vecchi referenti calabresi del Msi, ad iniziare dall’onorevole Valenzise che abitava qui vicino, a Polistena, e che mi ha spinto inizialmente a impegnarmi come consigliere comunale di Taurianova, centro abbastanza martoriato dai tempi del famoso Ciccio Macrì. E lì sono iniziate le mie battaglie».

Furono battaglie epiche a quel che se ne racconta.

«A Taurianova ora abbiamo le amministrative e noi di An stiamo andando da soli perché abbiamo preso le distanze dal sindaco che pur essendo di Forza Italia è stato dichiarato ineleggibile perché alla terza consigliatura. Ma noi eravamo già usciti dall’amministrazione per questioni di legalità. Siamo in campo da soli, neanche con l’Udc, perché l’Udc è rappresentata dalla sorella di Ciccio Macrì».

Da dove deriva questa sua autonomia anche così spregiudicata? Lei sulla legalità si alleerebbe, se necessario, anche con l’estrema sinistra?

«Avevo cercato in questa competizione di fare un governo di salute pubblica, di larghe intese, dalla sinistra al centro alla destra per isolare il malaffare dell’amministrazione uscente che peraltro ha creato un buco di tre milioni e mezzo di euro, anticamera del dissesto economico. Non ci sono riuscita perché sono prevalsi i tatticismi. L’estrema sinistra, pur riconoscendo la bontà delle mie proposte, vede ancora troppa distanza da noi. Però io non ci trovavo nulla di scandaloso».

Con questo suo impegno martellante – su ogni fatto più o meno grave della regione lei fa almeno un’interrogazione parlamentare e non si ferma a questo – non corre pericoli?

«Da quattro anni cammino con la scorta. Le minacce sono iniziate da quando mi sono battuta per lo scioglimento del consiglio comunale di Lamezia Terme che era amministrato dalla Casa delle Libertà. Non mi sono sottratta perché conoscevo le collusioni esistenti. Non mi è stato perdonato questo comportamento dagli alleati, anche se lo scioglimento è avvenuto su proposta dell’allora ministro degli interni Pisanu, quindi un uomo di Forza Italia. Avevamo avuto un incontro anche col presidente Fini e avevamo visto bene le carte». 

Fini l’ha appoggiata?

«Sì. Certo non è stata una bella cosa. E in quel momento mi sono sentita molto isolata a livello regionale il che ha dato la possibilità alla criminalità organizzata di procedere con minacce. Poi ho continuato le battaglie che avevo iniziato non solo come consigliere comunale qui a Taurianova contro Ciccio Macrì. Da presidente del partito a Reggio, prima di essere eletta nel 1994, avevo presentato una lista di sole donne, capeggiata da me, nel comune di Platì quando per due tornate elettorali nessuno aveva osato candidarsi. Li ho sfidati, sono andata a presentare la lista da sola. Non c’erano cellulari, era il primo anno di presidenza».

Vuole ricordare quella giornata?

«Avevo ricevuto minacce, mi avevano anche rotto i vetri della macchina, mi avevano detto di stare lontano da Platì. È stata la presentazione di una lista unica ma simbolica. Sono andata con l’onorevole Valenzise a fare anche un comizio. Eravamo nella piazza da soli, io, Valenzise e le forze dell’ordine. Lui mi diceva: non ti preoccupare perché sono tutti dietro le finestre chiuse ma sentono, dici quello che devi dire e non ti preoccupare».

Ha avuto mai paura in questi anni?

«Paura ne ho avuta, ne ho. Adesso sono sotto pressione da parte dei Mancuso di Vibo perché ho fatto degli interventi durante il processo Dinasty abbastanza pesanti. Uno dei Mancuso era stato mandato dal carcere di Tolmezzo a Vibo con la scusa di un’operazione dentaria ed era da un mese libero di potersi recare in uno studio dentistico privato senza definizione temporale mentre si stava svolgendo un processo che riguardava anche lui. Ho ricevuto per posta anonima un plico di carte dove mi si raccontava questa storia. Ho fatto subito un’interrogazione parlamentare. Il giorno in cui è stata pubblicata questo signore è ritornato al carcere di Tolmezzo. Sono anche intervenuta perché per un cavillo giudiziario, voluto secondo me, stavano per restituire ai Mancuso dei beni sequestrati per un valore abbastanza elevato. Anche lì ho fatto un’interrogazione parlamentare ed è stato bloccato il dissequestro. Allora due dei Mancuso in videoconferenza durante il processo hanno iniziato col dire: noi abbiamo paura di questo processo perché è diventato un processo politico, leggiamo tutti i giorni i giornali e vediamo che l’onorevole Napoli sta esercitando pressioni sulla procura. Un chiaro messaggio. In seguito a questo gli avvocati hanno chiesto lo spostamento del processo in altra sede. Per fortuna non gli è stato concesso, e due mesi fa il processo ha portato al riconoscimento per la prima volta di questo clan come clan della ‘ndrangheta. Sono andata a Vibo di nuovo, ma una certa preoccupazione…».

Suo marito?

«Mi ha sempre seguita in queste scelte, non mi ha mai contraddetta. È stato di supporto».

Le dice mai di stare attenta?

«Ormai non me lo dice più. Ho una figlia sposata, Dora, una sola figlia, perché sono stata in fin di vita quando è nata e, quindi, sono stata costretta a fermarmi. Sono nonna di una nipotina di due anni e cinque mesi. Mia figlia abita a Roma. Forse quella che più mi dice di stare attenta è lei, e anche mio genero. Loro me lo ripetono quotidianamente. Mi dicono che è inutile, perché le mie sono battaglie – e su questo forse hanno ragione – che tendono ad isolare e non a ottenere il risultato positivo. Non sono del tutto convinta. C’è l’isolamento alcune volte politico».

Lo sente?

«Questo lo sento. Però nello stesso tempo c’è il riconoscimento di buona parte dei cittadini onesti. Loro non isolano, ancora non escono allo scoperto ma le lettere che ricevo quotidianamente, molte ancora anonime, non contengono minacce ma incoraggiamento a proseguire, sono denunce, anche racconti di fatti non più sopportabili. Mi sento sotto un certo aspetto anche come punto di riferimento. Questo non mi fa sentire sola, anzi mi incoraggia a sfidare ancora di più la situazione».

Perché lo fa?

«Perché ho un senso della giustizia, infatti vengo definita giustizialista. E poi perché credo nell’onestà di questa terra, e se non si dà forza alla gente onesta per aiutarla ad uscire dalla cappa  dell’omertà che ha sovrastato l’intero nostro territorio, non ne usciremo mai, non potremo essere di aiuto ai giovani. La cosa che mi fa sentir male e che mi vede alcune volte impotente è vedere le nostre risorse giovanili costrette ad abbandonare questa terra. E, quindi, continuo sperando che man mano cambino le cose. Devo dire che negli ultimi anni, nonostante situazioni incancrenite, dei risultati ci sono stati. La gente un po’ di più è disposta a scendere in campo, a denunciare».

Lo Stato e i cittadini. Chi deve fare di più?

«Lo Stato forse negli ultimi due anni più che in precedenza si sta rendendo conto delle assenze che ha avuto nei confronti della Calabria e sta cercando di intervenire. Non è semplice, perché ci sono leggi che spesso sono state fatte nei momenti di emergenza e oggi non sono più efficienti».

Miglioramenti, quindi, anche col governo di centrosinistra?

«Devo dire però con onestà che la cosa è iniziata col governo di centrodestra, con Pisanu ancor più che con Scaiola, che non mi piaceva come ministro degli interni. Pisanu è stato molto sensibile».

Il ministro Amato?

«E’ una persona perbene ma non lo vedo determinato».

Il viceministro Marco Minniti?

«Sarebbe determinato ma con una Finanziaria che ha penalizzato molto il settore della sicurezza tante cose non sono possibili. Tanti impegni assunti da Minniti negli incontri, nei tavoli di concertazione, a Lamezia, non sono mantenuti, anche se l’intenzione c’è. Certo non possiamo più delegare solo allo Stato centrale, perché questa delega è stata penalizzante per la Calabria, ha portato i cittadini ad aspettare che qualcuno intervenisse per loro. Invece credo che proprio da qui che deve nascere la svolta».

Magistratura: lotte intestine un po’ dappertutto. 

«È una vecchia storia. Ricordo che fin dall’inizio della prima legislatura sono stata costretta a fare interrogazioni rispetto a situazioni di frattura, di gelosie interne alle varie procure calabresi. Questo non è positivo perché non crea giustizia, non porta alla giustizia. Però devo dire che tante distorsioni derivano anche da processi che riguardano i poteri forti, compresi i poteri politici, che magari qualcuno vorrebbe bloccare e qualchedunaltro vorrebbe portare giustamente a compimento. Ma questi processi sono nati per responsabilità del mondo politico calabrese, che non si comporta in maniera corretta».

Non c’è troppa politica in questa regione?

«Sì. È stato dato troppo potere alla politica, la quale è l’unica chiamata a decidere. Tutto è in mano alla politica, che peraltro in parte si è associata a quel settore della massoneria deviata che ha alimentato le bande interne». 

Dunque, secondo lei, l’allora procuratore Agostino Cordova aveva ragione nell’avviare le indagini sulla massoneria?

«Aveva pienamente ragione tant’è che la sua indagine è stata spostata a Roma dove si è insabbiata. Forse l’intervento di Cordova allora sarebbe stato determinante per non arrivare alle deviazioni che ci sono oggi».

Lei è di An, una forza che sta all’opposizione a livello regionale. Ma è difficile accorgersene. Come mai?

«Non c’è opposizione, c’è un trasversalismo che certamente non aiuta né la maggioranza, che non è incitata, né tanto meno l’opposizione, e si finisce col creare maggiore confusione nei cittadini».

Ma lei non ha prima parlato di trasversalismo quando ha detto che non guarda la tessera ed è pronta ad allearsi anche con la sinistra se serve?

«Ma sono due trasversalismi diversi. Penso a due esempi eclatanti della Regione come il concorsone e il pensionamento dei dirigenti: non è un bene. Il trasversalismo va bene se serve alla crescita, non va bene se serve agli affari».

Sua figlia è a Roma. Perché non è in Calabria?

«Mia figlia ha scelto di lasciare la Calabria perché non condivideva la situazione calabrese da cui non vedeva una via d’uscita».

Quest’immagine di lei e sua figlia sembra molto emblematica. Lei ha deciso di restare qui per battersi, sua figlia ha deciso di andare via perché non c’è nulla per cui vale la pena battersi. Sono le due facce della Calabria?

«Quando le ho detto che continuo questa battaglia proprio perché mi fa male vedere i nostri giovani costretti ad andare via, è proprio per questo, c’è anche mia figlia tra questi giovani».

Il suo sogno è che sua figlia torni qui?

«Non c’è dubbio. Ma allo stato attuale così com’è no, perché giorno dopo giorno non vedo soluzioni. Quanti giovani che escono dall’università di Cosenza, che rappresenta l’eccellenza, sono costretti ad andare via? Il mondo politico di destra, di centro e di sinistra non ha mai pensato a uno sviluppo di tutto il territorio, è mancata una programmazione ad ampio raggio».

Nella sua scelta c’è una sfida, che altro ancora?

«Amo la gente onesta, la sua semplicità, amo le risorse naturali di questa terra, che ne ha tante. Ho lo fortuna di girare il mondo per la mia attività parlamentare, vedo risorse che non sono paragonabili a quelle della Calabria e che vengono sfruttate. E allora perché non riuscire a fare della Calabria la regione gioiello della nostra nazione?».

Un gioiello da regalare alla sua nipotina. Quando sarà grande come gliela spiegherà la Calabria?

«A Federica spero di raccontarla nella sua parte migliore, perché sono convinta che la Calabria nonostante tutto stia cambiando. E mi sento di dare un po’ di fiducia ai calabresi. Mi auguro di spiegargliela in modo che possa anche lei imparare ad amare questa terra che va amata, va amata».