Se l’è cercata, la ormai storica e inquietante battuta del Divo Giulio a proposito del delitto Ambrosoli l’ho risentita in questi giorni riferita a Francesco Emilio Borrelli. E se pure fosse? Che cosa è più grave: le provocazioni, mettiamola così, del consigliere regionale che denuncia con la propria testimonianza la vergogna dei parcheggiatori abusivi o la reazione degli stessi che lo picchiano? Piuttosto c’è da arrabbiarsi per il fatto che questa piaga sia un dato ineliminabile del panorama urbano tanto che moltitudini di napoletani vi si sono assuefatte ritenendola una forma tollerabile e tollerata di regolazione dei rapporti tra le persone. Che poi qualcuno paghi, può capitare anche questo, due volte la sosta – le pubbliche strisce blu e la privata quota rossa illegale – o che – ipotesi molto remota – dopo aver pagato il parcheggiatore abusivo ci si veda affibbiare una contravvenzione, è ordinaria amministrazione. E, come da copione, ci si chiede ad ogni nuovo poco edificante episodio di sopraffazione se non sia deprecabile la mancata rivolta dei cittadini. Io la metterei anche in un altro modo.
In questi giorni, e sono anni che lo fa, circola sui social la protesta documentata di un commerciante del Vomero. La sua stradina, una delle più antiche del quartiere, è prateria, ristretta naturalmente perché angusta, dei cittadini che fanno il loro comodo fregandosene degli altri. Questa volta una foto impreziosisce la denuncia: una teoria di auto che occupa la carreggiata e soprattutto sigilla porte e saracinesche. Anche quella del denunciante che non può aprire il suo esercizio commerciale perché non può accedervi e che si accinge alla messa pezzente in cerca del non gradito invasore. Dalla tipologia delle auto, in primo luogo suv imponenti e per lo più vetture nuovissime, e dalla composizione sociale della zona, si capisce che i proprietari sono di ogni ceto, si immagina anche qualche professionista, chissà forse pure qualche docente che poi più tardi ai propri studenti insegnerà tra l’altro le regole del vivere civile.
Le due storie, quella di Borrelli e quella del commerciante vomerese, hanno molto in comune, ci dicono tanto della nostra città. Innanzitutto raccontano la prepotenza, quella del parcheggiatore abusivo che taglieggia gli automobilisti e che, alle strette, mette in pratica la sua arma più convincente, la violenza o la sua minaccia, e quella del cittadino comune che si appropria degli spazi pubblici spesso se non quasi sempre incurante degli interessi altrui che lede così platealmente. Ma qual è la differenza tra la violenza tout court e quella sottesa nel comportamento della persona cosiddetta perbene? Del resto, anche in questo secondo caso la prepotenza è appena un filo prima di diventare altro nel momento in cui la “vittima” reagisce: le tante auto rigate che si vedono in giro sono la premessa di ben altro se solo se ne scoprisse in flagranza l’autore. E se capita e finisce male leggeremo che la lite è avvenuta per futili motivi.
Ora se tutto questo attiene a noi ed è materia di antropologia, c’è da ricordare che c’è un terzo soggetto: coloro che sono addetti ai controlli, alla vigilanza, alla prevenzione e, se serve. alla repressione. Troppo facile dire che per ogni napoletano, adagio insopportabile, ci vorrebbe un carabiniere. Sarà pure vero ma torniamo al caso dello sventurato commerciante che lotta da anni senza alcun risultato: oltre la foto ha raccontato con dati di fatto la telenovela burocratica tra vari organi della pubblica amministrazione il cui risultato è l’assoluta inerzia, quando quella stradina sarebbe, come è scritto pure nelle carte, una necessaria e gradevole isola pedonale. Dunque, anche nel caso in cui la stessa pubblica amministrazione venga sollecitata non si ottiene alcun risultato. Allora si potrà dire che ci vorrebbe un magistrato per ogni impiegato o dirigente o amministratore, ma anche questo sarebbe un adagio insopportabile. Il fatto è che noi cittadini napoletani – e in provincia le cose non vanno tanto diversamente – abbiamo un’idea della cosa pubblica essa sì causa di questa qualità della vita o, se si vuole, dell’invivibilità di cui ci lamentiamo mentre compiamo la nostra piccola infrazione quotidiana. Borrelli si metta l’anima in pace, così nessuno dirà che se l’è cercata.
Articolo pubblicato sul Corriere del Mezzogiorno il 3 settembre 2020