Da fascista a moderato di destra aperto al centro. O: dai soldatini di piombo a Mimmo Paladino e Gormley. O ancora: dai treni del sole al parco della biodiversità passando per un cruscotto. Un passato a tutto tondo di militante e esponente della destra estrema, un lungo corso di sindacalista, una significativa esperienza di assessore regionale al turismo, una più che solida performance di presidente della Provincia di Catanzaro, a cinquantanove anni Michele Traversa non smette di sorprendere.
Presidente, entrando in questo palazzo, la Casa delle Culture, più simile a un museo che alla sede di un ente, non si penserebbe mai che a dirigerne le sorti sia un uomo col suo pesante passato politico. Come nasce questo interesse per la cultura?
«Nasce nel momento in cui sono stato nominato assessore al turismo della Regione Calabria. Ero alle prime armi e cominciai a buttarmi a capofitto nel lavoro per il rilancio del turismo. E così feci delle cose di cui ancora si parla. Cercai principalmente di rilanciare l’immagine della Calabria».
Come sta cercando di fare l’attuale assessore Nicola Adamo con Oliviero Toscani?
«No, fu cosa ben diversa. Mi resi conto subito che la Calabria non era conosciuta neanche dal punto di vista turistico. In Germania ad una conferenza di operatori del settore pensavano addirittura che la Calabria fosse una provincia del Marocco. E poi ad ogni vigilia d’estate si registrava una costante denigrazione della regione anche dal punto di vista della viabilità. Quindi, decisi di puntare sulla cultura e sul turismo».
Così nacque l’idea dei Treni del Sole?
«Erano cinque treni che partivano ogni settimana da Torino, Verona e Milano, e portavano gratuitamente i turisti. I treni erano anche un veicolo pubblicitario perché erano allestiti magnificamente. Ricordo che erano tanto belli, così colorati che nella stazione di Bologna i turisti giapponesi scattarono migliaia di fotografie».
Dalla Regione alla Provincia, che cambiò?
«Intanto ho pensato molto alla città di Catanzaro che, diciamolo onestamente, non è tanto bella e neanche molto vissuta. Ci siamo posti il problema di far uscire i catanzaresi dalle loro case. La città dopo le 19 chiude completamente, non si trova più nessuno per strada. Realizzai giù, in questo palazzo, una buvette».
Ha fatto anche il ristoratore?
«No, non creavo concorrenza, stimolavo solo la crescita qualitativa. E poi accanto a questo ci doveva essere anche la ristrutturazione di piazza Prefettura che ancora non è avvenuta, per fare un gazebo stile liberty che desse la possibilità all’orchestra di Catanzaro di fare concerti. Pensai in contemporanea all’ambiente, alla necessità di un polmone verde, e realizzai il parco della biodiversità mediterranea all’interno della città, oggi apprezzato da tutti: cominciano ad arrivare pullman di turisti. E lì si è realizzato un percorso culturale perché ogni volta che realizziamo una mostra imponiamo agli artisti di lasciare un’opera che collochiamo lì».
Gli artisti che espongono a Scolacium. Nomi grossi dell’arte contemporanea. Ma chi le dà consigli?
«L’assessore alla cultura Rubino. Io non ho cambiato la squadra della Regione, nella quale Rubino era il consulente per la cultura e lo spettacolo. Il dirigente amministrativo che aveva alla Regione ora è nella stanza a fianco, ed è di sinistra, dei Ds».
Un presidente di An che apre alla cultura di sinistra…
«E si meraviglia? Abbiamo organizzato qui il concerto di Vasco Rossi davanti a quattrocentomila persone dimostrando che anche nel Sud si possono fare le grandi manifestazioni».
Dalla cultura alla gestione amministrativa. A lei piace sorteggiare i vincitori delle gare di appalto?
«Molto si parlò di due nostre pagine intere di pubblicità sul Sole 24 Ore per organizzare contemporaneamente un centinaio di gare consentendo a ciascuno dei partecipanti di non poterne vincere più di due».
Parli di quello schermo che ha lì di fronte alla scrivania. Funziona?
«Sì, il cruscotto informatico. Con quello controllo tutti i lavori pubblici della Provincia. I tempi sono calendarizzati: sessanta giorni per la progettazione esecutiva, trenta per la gara di appalto, trenta per consegnare i lavori all’impresa, e poi ci sono i tempi di realizzazione. Nel momento in cui si interrompe questa catena, mi appare una pallina rossa che mi dice che la pratica è bloccata. Allora verifichiamo se è una causa esterna, per esempio un ricorso, altrimenti la causa è interna ed è dovuta ad un dirigente che non ha fatto il suo dovere».
Ma come le venne l’idea di questo cruscotto?
«Avevo iniziato a farlo manualmente poi capì che non ce la facevo perché i lavori erano tanti, pensi che ora ci sono 1.056 appalti con 621 ditte».
Questo culto dell’efficienza lo ha coltivato da piccolo?
«No, nasce da quando facevo l’opposizione nel consiglio comunale negli anni Ottanta. Un’opposizione costruttiva ma dura. Avevo l’abitudine ogni anno, prima della legge finanziaria, di partecipare ai corsi di formazione per gli amministratori. E quando in Consiglio comunale si discuteva di bilancio tenevo inchiodata l’amministrazione per decine di ore».
È di destra perché nasce in una famiglia di destra?
«Mia madre era di destra. Mi portava ai comizi. Ero piccolino. Da lì poi è nata questa passione».
E suo padre?
«No, era un democratico Mia madre era fascista».
Di Botricello?
«No, veniva da Strongoli. La sua famiglia era composta da generali, prefetti».
Perciò la chiamano generale? Dicono che quando dà un comando batte i tacchi.
«No, non è vero. Ho il senso dello Stato che è una delle cose che manca in Calabria. Ho diretto uffici a Bergamo e lì un funzionario che arrivava con un minuto di ritardo chiedeva scusa. Qui neanche vengono».
Quando pesa nelle sue aperture politiche di oggi la sua vicenda politica di quegli anni lontani vissuti su una sponda storicamente destinata all’isolamento?
«Vede, nessuno di noi che stava nel Msi e poi in An poteva mai immaginare che un giorno uno come me potesse diventare presidente della Provincia o assessore alla Regione. La nostra era una scelta ideologica e non opportunistica. C’è stata una svolta impensabile».
E lei come l’ha vissuta?
«Noi abbiamo cercato di trasferire nelle istituzioni il nostro modo di agire, il nostro senso dello Stato che, sia chiaro, non porta, almeno qui, benefici elettorali. Se non fai clientele qui in Calabria i voti non li prendi, salvo che in presenza di un vero sistema bipolare».
Oggi cos’è il fascismo per lei?
«Il senso dello Stato, l’ordine».
Dei suoi anni giovanili che salva?
«Ho passato anche dei periodi difficili quando ero segretario giovanile, sono stato federale, responsabile del Fronte Nazionale della Gioventù…».
Ha fatto mai a botte con i comunisti?
«Sì, molte volte negli anni Settanta».
Le ha date e le ha prese…
«Le ho date e le ho prese. Negli scioperi delle scuole, ma poi qui a Catanzaro quando c’è stata la fondazione della Regione. In quell’occasione sono intervenuti fattori esterni. Infatti anche l’attentato all’amministrazione provinciale e la morte di Malacaria, a mio avviso, non provenivano né dalla sinistra né dalla destra ma da “Affari riservati” che cercavano di influire sulla scelta o meno di Catanzaro capoluogo. E furono strumentalizzate le forze di sinistra e le forze di destra».
Nostalgia per il passato?
«No, c’era molto da criticare anche se c’era l’entusiasmo giovanile».
Oggi come si definirebbe?
«Un moderato, molto moderato, di una destra più schierata verso il centro».
Lei spesso si muove molto spregiudicatamente. Alle ultime elezioni comunali un minuto dopo il voto annunciò che avrebbe votato al ballottaggio il candidato dell’Ulivo facendo poi eleggere sindaco Olivo.
«Ciò è dovuto principalmente al bene e all’affetto che ho per la città di Catanzaro. Si correva un grosso rischio, non per il candidato a sindaco Franco Cimino ma per coloro che erano alleati di Cimino e che avevano dimostrato il massimo del trasformismo e che ora si trovavano accomunati non si sa da che cosa. Non si poteva consegnare la città a personaggi di questa specie. Dovevo fare una scelta. O astenermi oppure… Nell’interesse della città optai per Rosario Olivo che conoscevo e che per il suo passato dava tutte le garanzie. Da una parte c’era la politica dall’altra non dico gli affari ma gli interessi c’erano di sicuro».
Pentito?
«Lo rifarei nuovamente anche se sono rimasto un po’ deluso da Olivo che avrei voluto più energico nei confronti delle liste che lo appoggiarono».
Quando non fa politica che fa?
«Sono un collezionista di soldatini di piombo».
Allora è per questo che sta per preparare il museo delle armi?
«Sì. Nel rimettere a posto tutti gli archivi della Provincia, gli scantinati,le statue – ho inventariato tutto – ad un certo punto sono spuntati fuori una sciabola e un fucile antichi. Ho pensato: quasi quasi faccio un avviso pubblico per vedere se qualche catanzarese vuole donare le sue eventuali armi all’amministrazione provinciale per fare un museo delle armi. Hanno risposto in tanti: abbiamo circa seicento pezzi tra fucili, sciabole, pistole, bombe a mano. Abbiamo anche tra le duecento e le trecento divise antiche di valore immenso che vanno dal periodo di Napoleone alla Seconda Guerra Mondiale. Apriremo questo Museo Storico Brigata Catanzaro il 28 aprile».
Sarebbe stato bello che qualcuno avesse donato anche qualche lupara…
«Al questore ho detto che mi dovevano ringraziare perché stavamo togliendo dalla circolazione molte armi».
Torniamo alla collezione di soldatini. Quanti ne ha?
«Quattromila».
Ha anche gli scenari con le battaglie?
«Sì».
Perciò la chiamano generale?
«No, forse mi chiamano così per il modo di agire ma non perché comando».
Viaggi?
«No, mi piace stare qui».
Quanto tempo alla famiglia?
«Poco ai miei due figli. Mia moglie, che è di Brescia e che viene dal Msi, mi comprende».
Vi piace la vita dei salotti?
«No, mia moglie e io non andiamo quasi mai ai ricevimenti».
A chi di An è più legato?
«A Maurizio Gasparri, ma per affetto prima ancora che per la politica».
E Fini?
«Ho un ottimo rapporto, ma Fini ha un carattere completamente diverso da Gasparri, è un po’ più distaccato anche per il ruolo che svolge».
La cosa che la preoccupa di più?
«Non ho mai ricevuto un avviso di garanzia ma la cosa mi darebbe fastidio perché tutta la mia vita è fatta di trasparenza. Ma la cosa che davvero mi renderebbe infelice sarebbe che alla mia andata via dalla Provincia il parco della biodiversità fosse abbandonato a se stesso».
La gioia più grande?
«Che Catanzaro ritorni a fiorire come ai vecchi tempi. Era il centro non solo d’attrazione commerciale ma anche il punto di riferimento politico. In passato la politica era a Catanzaro, oggi non più».