Parricidio, incesto, infanticidio… il pensiero va a Edipo e alle tragedie di Sofocle che ne hanno reso eterno il dramma. Storia nota, visitata e rivisitata, assurta a gettonata materia scientifica nell’omonimo complesso freudiano, memorabile l’omonimo film in cui Pasolini confessa, alla sua maniera, di essere Edipo. Si può ancora scriverne senza correre il rischio di ripetere cose risapute? Evidentemente sì se non si smette di produrne. Appena qualche mese fa Luciano Violante con “Insegna Creonte” ha ricomposto con un’intrigante lettura la sua esperienza di magistrato e di politico. Ma già prima, tre anni fa, insieme a Marta Cartabia aveva affrontato il tema con “Giustizia e mito”, qui facendo i conti con Antigone, Edipo e Creonte, e i rispettivi conflitti tra coscienza individuale e ragion di stato, tra colpa e errore, tra la legge e la sua violazione. Ed ecco fresco di stampa un nuovo libro, “Cháos“ (editore Marcianum Press, 102 pagine, euro 13). Lo ha scritto Raffaele Bussi che ritorna, dopo l’intermezzo del libro sul suo concittadino stabiese Michele Tito, all’amata cultura classica greca già raccontata in “Ulisse e il cappellaio cieco”.

Si sa, Laio, re di Tebe e marito di Giocasta, apprende dall’oracolo di Delfi che il suo prossimo figlio lo avrebbe ucciso e avrebbe sposato la madre. Crede alla profezia, e fa deportare il figlio in una foresta. Salvato da un pastore e allevato poi dal re di Corinto, Polibio, il bambino viene chiamato Edipo per il piede gonfio a causa delle ferite procurate dai morsi delle bestie. Da grande Edipo incontra Laio e, ignorando che fosse il padre, lo uccide. Diventa poi re di Tebe, dopo aver risposto all’enigma della Sfinge, che impediva a chiunque di entrare nella città, ricevendo in cambio il trono da Creonte e sposandone la sorella Giocasta, ignaro che fosse sua madre. Dal matrimonio nascono quattro figli dei quali lui è padre e fratello. Quando si scopre la verità Giocasta si impicca e lui si acceca e poi se ne va mendicando nell’Attica accompagnato dalle figlie Antigone e Ismene.

Bussi inizia da qui il suo viaggio “sui passi di Edipo”. La forma è quella agile e serrata del dialogo platonico che, con uno sguardo sull’oggi, ricostruisce il tormentato percorso di Edipo, il quale sa che «la sventura farà ricadere la colpa anche sui figli” che pagheranno gli errori di chi li ha generati. Moriranno, infatti, i due figli-fratelli nel contendersi il potere a Tebe e morirà Antigone, “murata in una grotta”, per aver disobbedito all’ordine di Creonte di lasciare insepolto il fratello Polinice che gli si era opposto.

La tragedia mescola colpe ed errori, ma è al tempo stesso – questo il filo del libro – espressione di un mondo disordinato, il “cháos”, che è inevitabile quando «la mente cancella le norme del buon governo… barattandole con le proprie… Creonte non ha esitato a proporci una tirannia che di democrazia aveva solo la facciata». All’arroganza del potere si oppone la sola Antigone infrangendo la “legge” del re. Il capo dei saggi può concludere: «Tebani, la saggezza è la prima condizione della felicità. Attenti a commettere empietà contro gli dei, ma anche contro gli esseri umani, come ha fatto Creonte contro il povero Edipo venendone ripagato con la stessa moneta». Violante la spiega così: «La democrazia non esiste in natura, essa è frutto di una costruzione dell’intelligenza, della voglia di libertà delle persone». E saggezza e intelligenza non fanno mai rima con il delirio di onnipotenza in pubblico e in privato.

*Articolo pubblicato sul Corriere del Mezzogiorno il 14 aprile 2021