di ClAUDIA PRESICCE

Un giorno di molti anni fa un giornalista del Mattino venne chiamato dal direttore, a quel tempo Paolo Graldi, per un nuovo incarico. Doveva andare a San Giovanni Rotondo per assistere alla veglia dei trent’anni dalla morte di Padre Pio. Molti altri suoi colleghi avrebbero fatto carte false per raggiungere quei luoghi: il quotidiano era di aria democristiana e la maggior parte dei redattori erano cattolici praticanti. Lui invece, Matteo Cosenza, non aveva il dono della fede. E, forse proprio per evitare articoli inginocchiati ed estatici di fronte a quell’evento, era stato proprio lui il prescelto.

Cominciò così una lunga storia, di articoli e di vita, ricostruita oggi nelle sue tappe essenziali da Cosenza in “Padre Pio. Il vero miracolo” (Rogiosi Editore Pagg.112 Euro 12.50). Il libro segue la narrazione del giornalista del percorso dal 1998 al 2004, dalla speranza alla beatificazione di Padre Pio voluta fortemente da Papa Wojtyla, passando per la costruzione della grande chiesa di Renzo Piano a San Giovanni Rotondo. Cosenza fu l’autore delle cronache di avvenimenti fondamentali di quegli anni, raccolse storie dei tanti fedeli, ma non nascose la deriva speculativa e l’eccessiva mercificazione nata intorno a questa figura, soprattutto in quell’angolo di Puglia. Dall’altra parte a Pietrelcina invece su Padre Pio a quel tempo sembrava essere stato fatto davvero troppo poco.

«Non ero andato in Puglia per convertirmi e non mi sono convertito – scrive Cosenza – sui miracoli, che in quel luogo ti ritrovavi a ogni passo che facevi, non mi avventuro, ho le mie opinioni e non sono cambiate, ma un miracolo io lo trovai e lo raccontai, e credo sia il vero grande miracolo di Padre Pio, e chissà che non fosse proprio questo ciò che il direttore voleva che io raccontassi…».

Il vero miracolo era la fede della massa umana che il giornalista incrociava per le vie di San Giovanni Rotondo, gente innamorata di quel fraticello arrivata lì da chissà dove per andare a pregarlo. Le testimonianze intrecciate alle speranze, il dolore e la sofferenza affidati al frate con le stimmate.

«Ognuno può pensarla a suo modo, ma quella fede era essa stessa il miracolo. La religione della speranza affidata ad una preghiera, identificata in un umile fraticello diventato un mito planetario», spiega ancora.

Un fenomeno di grandi proporzioni che Cosenza ha trattato come un cronista oculato. «La gente accorre. E Matteo la registra – scrive nella prefazione padre Giancarlo Bregantini, arcivescovo di Campobasso-Boiano – ne evidenzia i passi, ne descrive le emozioni, ne raccoglie le lacrime e gli entusiasmi. Ore di attesa, per confessarsi facevano quando Padre Pio era vivo. Adesso le ore le fanno per entrare nella sua tomba. Per poter pregare con calma, per trovare uno spazio alla confessione».

Non essere credente non ha significato porsi con atteggiamento di rifiuto o sdegnoso di-stacco, né farsi travolgere dall’estasi altrui. Davanti agli occhi del giornalista stava scorrendo gran parte della storia cristiana, umana e religiosa, a cavallo di due secoli, e meritava rispetto e attenzione, prima che giudizi.

«Quel vento, che diventò un uragano, Matteo Cosenza lo ha sempre descritto senza retorica (e soprattutto senza fare sconti agli eccessi di un certo turismo religioso, al circo mediatico che spesso accompagna talune manifestazioni di fede) ma raccontando la fede, la passione popolare. E dando soprattutto voce agli uomini, alle persone, alle loro storie, alle lo-ro passioni, alle loro sofferenze» scrive nell’introduzione Vittorio del Tufo.

*Recensione pubblicata sul “Quotidiano di Puglia” il 29 dicembre 2020

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