Se nomen omen capirete che il mio cuore batte per Matteo, poi ricordo di essere napoletano per scelta di vita e di lavoro da quasi mezzo secolo e allora lascio aperta una porta anche a Gennaro. Ma loro, i santi, si importano poco di questi personali dilemmi e, per quanto le due città di cui sono patroni rivaleggino da sempre e se mai un giorno dovesse giocarsi una partita di campionato tra Napoli e Salernitana, loro non hanno derby in calendario, avendo ben altro a cui pensare. Matteo è tirato per la giacca in mondi, come l’amministrazione pubblica, da cui si ritrasse senza indugio quando Gesù, incurante dello scandalo tra i pubblicani, gli disse “seguimi”, Gennaro invece ha da preoccuparsi solo di chi vorrebbe prenderlo in castagna e dimostrare che il suo sangue si liquefa tre volte l’anno non per un suo miracolo bensì per artifici chimici di altri. 

È ben evidente che i due svolgono, se il termine non risulti blasfemo, due mestieri diversi. Più laborioso quello del patrono di Napoli messo alla prova a scadenze precise, al punto che anche quando nella teca non accade nulla lo fa per dare un segnale, vuoi uno sprone ai fedeli a insistere con la preghiera vuoi il presagio di una sventura. San Matteo non è sottoposto a tali fatiche, lui, che secondo l’ordine evangelico è il primo testimone della discesa in terra di Gesù, può fare a meno dei miracoli, e pertanto i fedeli chiedono ma nulla pretendono.

Sarà forse anche per questo diverso rapporto con la città – non vorrei essere banale ricordando chi ha scritto che san Gennaro è il vero dio di Napoli – che cambia l’approccio degli amministratori. Tanto per dire, i sindaci di Napoli, di qualsiasi colore, non si sognerebbero mai di rivendicare qualcosa: sono lì, naturalmente in prima fila, fedeli tra i fedeli, pregando o facendo finta, scrutando il sangue del santo dal basso in alto. I napoletani, le parenti del gialluto in primis, apprezzano questa prova di fede democratica.

Per due anni – e così rafforzo la locuzione iniziale – ho lavorato a Salerno e ricordo le processioni del 21 settembre. Il sindaco De Luca era al massimo del suo splendore. La folla immensa invocava… san Matteo, ma io sentii osannare maggiormente il primo cittadino. “Vincenzo o’ funtanaro” aveva conquistato il loro cuore per aver fatto il miracolo del buon governo. Più controversa la visita della statua del patrono nel Municipio dopo che la curia ha messo negli ultimi anni qualche paletto per separare il sacro dal profano. La città lo vuole, il sindaco lo chiede, i portatori sono d’accordo. Chissà che pensa l’interessato. Il suo collega napoletano, intanto, ha altri problemi: c’è una teca che l’aspetta. 

Articolo pubblicato sul Corriere del Mezzogiorno il 17 settembre 2018