«Stiamo lavorando ad un progetto senza ideologie o integralismi, nel segno della flessibilità». È quanto dice a Anna Paola Merone, che lo intervista, l’assessore Edoardo Cosenza anticipando le imminenti decisioni sul piano traffico per il Lungomare. Questo dovrebbe, infatti, essere flessibile nel senso che in giorni prestabiliti circolerebbero le auto (non tutte) e in altri no. Ora, senza entrare nel merito del dispositivo che sicuramente vede favorevoli e contrari, pesiamo quel termine, flessibilità, che Cosenza (nessuna parentela… che io sappia) ha utilizzato e che evidentemente può essere anche riferito a una linea di condotta più generale. Nel 1992, alla vigilia delle Olimpiadi, chi scrive visitò Barcellona e, provenendo da una città caratterizzata da un tappeto di auto parcheggiate in luoghi straordinari come, uno per tutti, piazza Plebiscito o in improbabile movimento nelle sue arterie piccole e grandi, rimase impressionato fin dal primo impatto quando con la sua vettura penetrò nel cuore della capitale della Catalogna scoprendo che in alcune grandi arterie urbane le corsie destinate ai due sensi di marcia, regolati da semafori intelligenti, variavano di numero a seconda dei volumi di traffico, per cui potevi ritrovarti con due corsie in un senso e sei nell’altro o, due ore dopo, con quattro e quattro e così via. Un’innovazione per quei tempi nel segno, appunto, della flessibilità.

Dunque, nessun pregiudizio ideologico o di altra natura sul proposito dell’assessore Cosenza. La città non è un corpo ingessato e tutto quanto congiura a renderla più vivibile, sicura ed efficiente garantendone caratteri e bellezza, ben venga. Poi si giudicherà dai risultati sperando che si abbia anche la capacità di ritornare sui propri passi se non dovessero essere quelli sperati. Ciò detto, va però consigliato all’amministratore di aggiungere un’altra parolina, non affatto scontata a Napoli, in modo che lo slogan suoni così: nel segno della flessibilità e del rigore. E non è assodato che la flessibilità venga prima del rigore, anzi c’è da ritenere che sia vero il contrario.

Il disordine della città e i mille abusi che avvengono in ogni angolo fino a rendere faticosa e a volte insopportabile la vita degli abitanti, al tempo stesso vittime e carnefici, sono tanto evidenti che non serve rifarne il noioso e stucchevole elenco. Da anni, da troppo tempo, salvo qualche passeggero sprazzo di legalità, sono parte integrante del panorama. Certo sarebbe bello e auspicabile che gli abitanti facessero la loro parte con comportamenti rispettosi dei diritti degli altri, ma ciò non avviene e, dunque, occorrono controlli e consigli dove i primi sono indispensabili considerato che i secondi sono… consigli. Diamo la colpa a loro? Certo, anche a loro. Prendiamo ad esempio il ruolo dei vigili urbani e lasciamo stare la scusa del loro esiguo numero perché le cose non andavano diversamente quando non erano a ranghi ridotti. Diamo la colpa a loro? Certo, anche a loro? Ma essi sono la base di una piramide risalendo la quale si arriva agli ufficiali, al comandante, all’assessore (il collega di Cosenza) e al sindaco. E il rigore deve venire dall’alto per diventare una regola di comportamento e, nel caso in esame, di ingaggio, che poi si rifletterà inevitabilmente sui cosiddetti utenti, i cittadini, che devono uniformarsi alle regole per convinzione o per necessità.

Siamo appena all’inizio di una fase, si spera nuova, della vita cittadina, non sappiamo ancora se questa amministrazione comunale, stante la situazione finanziaria e, non dimentichiamolo mai, sanitaria, possa muovere i suoi passi come è necessario. Ma serve partire con il piede giusto. Sicuramente con scelte razionali e anche flessibili ma rigorosamente. Non per creare una situazione poliziesca e comprimere diritti e bisogni, bensì per tutelare i diritti di tutti e la bellezza della città. Poi discutiamo pure di Terzo, Primo e di Tutto Il Mondo, tanto in questo siamo bravi e vinciamo a mani basse il campionato del nulla.

*Articolo pubblicato sul Corriere del Mezzogiorno l’1 dicembre 2021