Un nuovo sindaco? Una nuova amministrazione? Per fare che? Soprattutto, per quale Napoli? Domanda più che lecita almeno per due motivi: il chiacchiericcio interminabile sui candidati senza uno straccio di discussione – e non parliamo di idee – sui programmi, e la constatazione che la città da decenni è ferma al palo, sottoposta a cambiamenti per lo più dettati dalle circostanze. L’unica opera di valore strategico – qui c’è per davvero un’idea di futuro – è la metropolitana il cui completamento va faticosamente realizzandosi. Ma pensiamoci un attimo, essa è il frutto di un colpo di mano geniale: il buco che Maurizio Valenzi e Luigi Buccico fecero a piazza Medaglie d’Oro quarantacinque anni fa. Furono dileggiati come la “banda del buco”, ma Napoli è così, una città dialettica, molto dialettica, e chi rompe gli indugi deve attendere il riconoscimento tardivo della storia, spesso post mortem. A dire il vero, in quegli anni, tra un colera e un terremoto, si progettò anche altro per il futuro. Un’interminabile discussione non fu inutile perché produsse una scelta urbanistica che ha definito il nuovo skyline della città: il Centro Direzionale progettato da Kenzo Tange, il primo agglomerato di grattacieli realizzato in Italia.

È molto? È poco? Complicato rispondere. Perché in una città così riccamente stratificata non è facile, per esempio, scegliere tra un’opera di rammendo, come raccomanda Renzo Piano, che poi architettonicamente fa scelte a suo modo rivoluzionarie, o interventi radicali sul tessuto urbano degradato. Sarebbe comunque un modo, sia l’uno che l’altro, per un’operazione urbanistica volta a migliorare la qualità della vita, il fatto è che Napoli da tempo non è rammendata – e come ce ne sarebbe bisogno! – ma al tempo stesso non è destinataria di alcun intervento di programmazione. A conti fatti la più importante scelta strategica, mentre il suo destino industriale è stato compromesso in profondità e vastità, fu la variante urbanistica generale fatta approvare da Vezio De Lucia, assessore della prima giunta Bassolino.

Ricordate il “Regno del Possibile”? In questi giorni, a seguito di uno scambio di messaggi, l’architetto Gerardo Mazziotti, che ancora non ha digerito la fine ingloriosa di quel progetto, mi ha indotto a riprendere i molti volumi che raccolgono il piano, il dibattito, la cartografia e tutti i documenti della società “Studi Centro Storico Napoli”. Il suo presidente, Enzo Giustino, non edulcorò la pillola e pubblicò un volume conclusivo in cui puntualmente si dava conto di tutte le posizioni. Le accuse furono pesantissime: l’operazione fu definita da un fronte vasto e qualificato una nuova edizione di “mani sulla città” e gli imprenditori privati che avevano lanciato la proposta si videro affibbiare propositi di ogni tipo, in sintesi esclusivamente speculativi. La città, la cultura e la politica si divisero, non si fecero desiderare gelosie accademiche e l’esito fu zero più zero. Quell’immenso lavoro non fu bocciato perché non fu mai esaminato in una sede istituzionale, semplicemente finì nel nulla (Raffaele Cantone una volta ha affermato che “Napoli è la città in cui si decide il Nulla”).

Andrea Geremicca, il dirigente comunista ricordato in questi giorni, anni dopo dichiarò che «il “Regno del Possibile” fu un tentativo di modernizzare la città e anche di sperimentare collaborazioni nuove tra privati e amministrazione pubblica», e rammentò che «negli Anni Quaranta Luigi Cosenza, certo non sospettabile di simpatie speculative, aveva proposto un piano regolatore che prevedeva lo sventramento dei Quartieri Spagnoli con l’apertura di una parallela di via Toledo». Severo fu il giudizio di Gerardo Chiaromonte: «Non vorrei che un giorno dovessimo rimpiangere l’occasione mancata di un dibattito serio e responsabile». Aldo Masullo: «È immorale, incivile e impolitico, per opporsi al male (le mani sulla città) difendere il peggio (la sofferenza delle persone e l’immobilismo mortale della città). Se ne discuta almeno».

Chiude questa piccola antologia (ci fu anche un clamoroso scambio di messaggi tra Gorbaciov e il sindaco Lezzi) Giuseppe Galasso: «L’urbanistica è la via per cui Napoli può stendere il ponte di cui ha bisogno tra il suo passato (che è tutt’altro che da rimpiangere in blocco) e il suo futuro (che è ancora tutt’altro che chiaro), ed essa è ormai, assai più di ieri, anche una lotta contro il tempo. L’adulterazione dell’identità e dell’immagine di Napoli sarebbe, lasciando passare il tempo infecondamente, assai più grave di altri attentati ad essa».

Città dialettica, molto dialettica? Stando a quel dibattito non si direbbe, ma discutere e non decidere, compresa naturalmente la bocciatura, non è la sintesi tra una tesi e la sua antitesi. A ben vedere anche lo stucchevole dibattito di questi mesi attorno al futuro sindaco è figlio di tale modo di procedere. Prima, e non subito, i nomi e poi, a parte rituali e scontati impegni per il verde, l’ordine, la pulizia e… l’innovazione, si vedrà per fare cosa, per esempio se aprire o chiudere via Caracciolo o la Galleria Vittoria.

*Editoriale pubblicato il 12 maggio 2021 sul Corriere del Mezzogiorno