Ho appena appreso, e visto l’immagine, che Antonio Gargiulo ha restaurato l’affresco del salone di quella che una volta fu, e nacque così, la sezione Lenin del Pci di Castellammare di Stabia. Ho provato prima ancora che soddisfazione un’emozione immensa. Ci sono persone che non vedi da una vita ma che stanno sempre con te. Antonio Gargiulo, il maggiore pittore stabiese vivente, l’ho rivisto dopo una trentina d’anni nel 2013, nei giorni del mio impegno elettorale a Castellammare. Un suo quadro è sulla copertina del mio libro su mio padre, ma ne ha fatti tanti su di lui che sono in varie case e ancora in qualche sede di partito (se ce ne sono ancora). Potete comprendere, quindi, l’affetto che io nutro per lui. E anche la stima perché, affascinato dalla grandiosa opera, “”La battaglia di Ponte dell’Ammiraglio”, che  Guttuso realizzò per il salone della scuola del partito a Frattocchie, quasi lo costrinsi, mezzo secolo fa, a realizzare gratuitamente l’affresco sull’assalto fascista a Palazzo Farnese del 1921 per la parete della sezione del Pci. E davanti a quel dipinto fu posta la bara di mio padre per l’ultimo saluto. Dunque, sono di parte sebbene il sentimento non mi faccia velo nel giudizio sul valore di Gargiulo per quel poco che io possa capire di arte.
Ma perché ho detto che Antonio sta sempre con me? Perché di fronte alla scrivania, dove trascorro ogni giorno moltissime ore, c’è il suo dipinto su mio padre meno noto e più significativo anche sul piano artistico. Ha ragguardevoli dimensioni, un metro e sette centimetri di base e un metro e ventitré centimetri di altezza, tecnica a olio. In basso una frase, “i funerali del compagno Saul”, sotto la firma e la data ’81, perché Antonio lo dipinse pochi giorni dopo la morte. È un’opera complessa. Intanto, è dominante il bianco (leggermente ingiallito dal tempo, anche perché non c’è, e non ci deve essere, un vetro di protezione): il colore non colore, quello più ostico per un pittore, l’assenza, il vuoto. In questo spazio due immagini diverse del “compagno Saul”, uno squarcio figurativo in un contesto che può sembrare, a prima vista, astratto. Macchie di rosso qua e là, e appena abbozzati con qualche linea di nero, altri volti che seguono il feretro retto da operai del suo cantiere navale con gli elmetti di ordinanza. Quel giorno, il 13 gennaio 1981, Castellammare intera – una folla immensa, anziani, donne, tanti giovani – era dietro quella bara mentre dal cielo veniva giù acqua senza risparmio.
Ho sempre pensato che Gargiulo non avesse completato il quadro. Poi, nel tempo, ho capito che questa mia lettura, se anche fosse vera (ma non gliel’ho mai chiesto), è superata dalla sua decisione di chiudere l’opera così come io la conservo. Perché forse era proprio quello che voleva. Il risultato, per come la vedo oggi, è che quel bianco, quel rosso, quei volti appena tratteggiati, quasi da intuire, e quelle due linee bianche geometriche che in diagonale, una pienamente, l’altra appena iniziata, toccano e attraversano le due immagini del compagno Saul, operaio, dirigente comunista, tutto questo, insomma, doveva significare la fine di una storia e l’inizio di una tutta da scoprire. Come si sa, gli artisti veri vedono quello che è nascosto o si agita nel sottosuolo e a volte lo rappresentano senza esserne pienamente coscienti. Oggi sappiamo che quel futuro allora incerto è la storia tormentata di questi anni, di questi mesi, di queste settimane, di questi giorni.