Un evento tragico ti può cambiare la vita. Si pensa alla vittima, dopo un po’ ci si dimentica dei familiari che continuano a vivere con il loro dolore. C’è chi ne viene schiacciato, e c’è chi riparte da lì, da quel lutto, da quella assenza per riempire di nuovo significato la propria esistenza. Doris Lo Moro è una donna forte, battagliera, pronta ad ogni sfida, ma è anche una persona delicata, schiva, riservata, non ha mai voluto parlare in pubblico di quel dolore. Ora ci fa questo regalo con pudore, anche con sofferenza, e con una sincerità che arriva all’essenza delle cose e dei valori che contano.

Perché decise di fare il magistrato?

«Avevo già fatto altri lavori, in banca, stavo facendo l’avvocato. Poi vicissitudini del tutto familiari mi hanno portato alla necessità di fare una scelta radicale. All’epoca ero ancora molto giovane, della scelta dell’avvocatura e della magistratura avevo anche parlato con mio padre, poi lui era morto, un anno prima era morto e io volli fare una scelta di campo: volevo stare da una parte».

Dunque, è stata la tragedia familiare, l’uccisione di suo padre e di suo fratello, a scatenare questa voglia di giustizia?

«In realtà mi stavo innamorando della grande professione dell’avvocato, ma in quella fase della mia vita avevo bisogno di mettermi al servizio di un obiettivo più grande di giustizia».

Lei faceva il giudice, poi decise di candidarsi a sindaco di Lamezia. Come maturò questa scelta?

«Non ci sono stati legami tra vicende politiche e impegno giudiziario. La mia candidatura è maturata in un contesto italiano, non solo calabrese, molto particolare perché eravamo all’indomani della morte di Falcone e Borsellino, due morti che mi hanno colpito molto e che hanno anche acuito sofferenze mie personali. Quindi, prima i morti della mia famiglia, poi Falcone e Borsellino, a Lamezia due netturbini uccisi in un agguato mafioso e poi l’assassinio di Aversa e della moglie in un contesto legato alla politica locale, tutto questo sicuramente ha creato le precondizioni per una mia candidatura, da me mai ipotizzata perché nata altrove, da un movimento di cui non facevo parte. Cercavano una donna che fosse un elemento di innovazione, un momento di rottura rispetto alle logiche di potere che avevano messo in ginocchio la nostra città, una persona che venisse dalle istituzioni, sufficientemente giovane (all’epoca avevo 38 anni). È stata una sorpresa, però mi è sembrato molto naturale essere parte di quel progetto di cambiamento. Anche perché la magistratura, soprattutto quella penale, interviene sempre un attimo dopo, che non è prevenzione per definizione».

E non sempre riesce a fare giustizia.

«Sì, è un’affermazione che faccio anche con cognizione di causa perché non sono riuscita ad ottenere giustizia. E questo per un magistrato è una ferita molto profonda. La cosa che mi ha fatto subito innamorare della politica in maniera irreversibile è la possibilità di incidere e di cambiare il corso delle cose. Una città che cambia, una comunità che trasforma una sua negatività in una positività. I due netturbini uccisi per mafia non furono ricordati solo con una targa ma con la costituzione della Multiservizi nel settore della nettezza urbana, trasformando gli appalti in odore di mafia in un’organizzazione trasparente ed efficiente».

Prima si riferiva al fatto che gli assassini di suo padre e suo fratello l’hanno fatta franca?

«Vede, nella magistratura c’è una tendenza a dormire sonni tranquilli perché si cercano sempre la serenità e la pace, però io credo che non può dormire sonni tranquilli né chi condanna un innocente né chi assolve un colpevole. Ed è difficile tutto questo perché delle volte gli atti di un processo richiedono atti di coraggio e non sempre ce ne sono. Dalla mia esperienza ho ricavato che mi sento a fianco di tutte le vittime perché penso che a chi ha perso qualcuno vada riconosciuta la ricostruzione della verità. La giustizia negata è un atto di violenza, ed è molto diffusa da noi, lei pensi quanti omicidi impuniti ci sono in Calabria. Mi rende anche triste pensare a come possa risultare ai parenti delle vittime il fatto che ci siano omicidi eccellenti e omicidi meno eccellenti, omicidi per cui c’è una verità e omicidi per cui non c’è una verità. Ho sofferto molto di queste cose e ho sofferto molto anche la morte dei magistrati di cui parlavo prima e delle tante persone che sono morte da innocenti. La violenza è un male sempre. E non fare giustizia è una sconfitta dello Stato».

Lamezia cambiò con lei primo cittadino?

«Sono stata felicemente sindaco. Eravamo un gruppo. Sono stati anni di grande soddisfazione, vedere la mia città rinascere non solo sul piano della vivibilità, dei servizi alla persona, del sociale, una città che si svegliava presto e andava a letto tardi, c’era sempre un’occasione pubblica per stare insieme. E il tentativo di riappropriarsi dell’area industriale acquistandola e riscattando il fallimento dell’industria mancata degli anni Settanta. Si dimostrò che Lamezia ce la poteva fare».

Ci fu anche una sfida tra donne: lei per il centrosinistra, Ida D’Ippolito per il centrodestra

«Fu un fatto molto bello per la mia città. C’erano molte donne a fare politica con me, sono rimaste». 

Ora la città è amministrata da Giovanni Speranza che era un suo assessore.

«Il nostro rapporto politico non è stato esaltante in quegli anni. Speranza lasciò l’amministrazione perché al di là delle apparenze non c’era sintonia. Questo però non ci ha impedito di essere leali».

Seguirono alcune candidature anche se non coronate da successo, alla Camera e al Parlamento Europeo.

«Quest’ultima è stata la più esaltante della mia carriera politica con il mio capolista Giorgio Napolitano che mi ha fatto girare la Calabria. Ne è nata una grande simpatia con il presidente, penso anche una bella amicizia. Non dimentico il suo rigore morale».

Luciano Violante è un incontro importante. Non è così?

«È stata una presenza nella mia vita, decisiva in tanti momenti, anche nell’accettare la candidatura a sindaco. Abbiamo delle storie comuni, perché anche lui viene dalla magistratura. È stato anche un riferimento politico. Mi piace molto la sua intransigenza, è una persona molto rigorosa. Continuiamo ad avere una grande amicizia che non mi ha mai impedito di essere autonoma perché Violante, quando stima una persona, non tende ad asservire, ad avere gruppi. Luciano è un uomo libero e lascia liberi. E io sono persona che tengo molto alla mia libertà. Per esempio, io sono stata tra le prime ad aderire al movimento di Prodi e la mia fu una scelta autonoma».

Livia Turco stravede per lei. Come mai?

«Abbiamo due cose in comune: passione e disinteresse. E questo rende importanti i percorsi comuni, lei ministro della salute io assessore regionale alla sanità».

Lei ha molto più consensi dal ministro che da molti primari e baroni della sanità calabrese.

«Io mi aspetto che prima o poi anche loro si accorgano dell’importanza di una buona sanità». 

L’assessore regionale alla sanità lo si immagina assediato da pressioni e da persone che propongono affari. Con lei come va?

 «Non mi è mai successo né da sindaco né da assessore regionale alla sanità. In questa stanza arrivano richieste molto diverse, richieste di gente che ha bisogno di aiuto». 

Loiero non si è pentito di averla scelta?

«Loiero è un politico intelligente. Lui ha individuato la sanità come il punto nevralgico su cui operare un netto cambiamento e ha pensato che io fossi funzionale a questo scopo. Spero che non si debba pentire».

Le donne si candidano a governare i posti chiave del mondo, un futuro in rosa?

«Guardi che vedendo l’Italia questo scenario non è esaltante. Devo dire che anche nel governo Prodi ci sono grandi donne ma non è venuto il segnale che ci aspettavamo. E anche a livello calabrese un’unica donna a livelli di responsabilità regionale è un assurdo».

Ha tre figli, un maschio e due femmine, quanto tempo dedica loro?

«Pochissimo, ma sono molto presente nella loro vita».

È vero che la domenica si dedica alla casa?

«Sì, ma non so cucinare bene anche se i miei figli apprezzano quello che tento di fare. Sono molto brava a tenere in ordine la casa che è molto bella. L’ha progettata mio marito in modo da farla sembrare una grande barca».

Suo marito come vive il suo ruolo?

«Bene perché l’ha voluto. È la persona di cui mi fido di più. E’ il mio consulente politico».

Lei si sente ancora un magistrato?

«Il bisogno di giustizia non è una cosa a cui rinuncio ed è un valore acquisito da tantissimi cittadini senza essere magistrati».

Da magistrato ha sempre dormito tranquillamente?

«È difficile andare a casa di un imprenditore che si stima e dichiararne il fallimento. Ma poi sono stata ripagata nella vita politica perché questa persona l’ho molto vicina. Nel penale ho operato un arresto dopo ore e ore di solitudine, ma anche lì sono stata fortunata perché l’arresto ha consentito la ricostruzione della verità processuale. Penso che un magistrato dorme tranquillo solo quando è convinto di aver operato per la verità».

Come si sopravvive a una perdita così ingiusta, così assurda come quella di un padre e di un fratello? Con il dovere di testimonianza?

«Nel mio caso è una cosa più complessa. Mio padre aveva l’obiettivo non che i suoi figli riuscissero a raggiungere mete socialmente appetibili, ma che riuscisse bene la sua famiglia. Io e i miei fratelli abbiamo il dovere di fare in modo che chi ha stroncato la sua vita non faccia fallire il suo sogno. Ho un dovere in più, quello di continuare ad amare mio padre facendo in modo di essere degna di questo sogno che lui ha vissuto. Lui era orfano – suo padre, prigioniero di guerra, era stato ucciso -, una catena di morti che potevano distruggere la famiglia. Io penso che mio nonno, mio padre, mio fratello non possono essere soltanto la storia di una sconfitta».

E ai suoi figli come lo racconta?

«Sono ancora troppo giovani. Ho parlato di queste cose soprattutto  con Laura che ha 19 anni. Vivo molto il ricordo di mio padre che mi parlava molto di suo padre ma aveva sempre paura di coinvolgermi perché sperava che il nostro futuro potesse essere diverso. Non è stato così. Io con i miei figli parlo quando serve e quando è giusto, però so anche che non voglio segnare la loro vita. La mia vita è stata segnata, la loro la voglio più tranquilla, serena e felice perché chi vive queste cose è difficile che sia felice».

La Calabria ce la farà?

«Io sono disposta a tutto per la Calabria, sono disposta a tutto per le cause in cui credo, lo sono stata per la mia città e lo sono per la Calabria. Se faccio dei sacrifici, e voglio farne sempre di più, credo di doverli a questa terra, penso che se lo meriti e  penso che i calabresi siamo migliori di quello che sembrano».